2016 nel pallone (seconda parte): da Messi al Qatar
Di Emanuele SaccardoCi siamo spremuti parecchio le meningi, come dicevamo nell’apertura della prima parte di questa panoramica sul calcio del 2016. Ci restano ancora cinque momenti significativi e, in mezzo a essi, uno in particolare ci fa venire i brividi. Ma andiamo con ordine. Sempre rigorosamente cronologico.
MESSI DA PARTE – Così come accaduto in Champions tra Real Madrid e Atletico, anche in Copa America la storia ha deciso di ripetersi. In questo caso, però, è sembrato di rivivere addirittura la fedele registrazione del primo atto datato 2015. Siamo al 27 giugno, il teatro è quello della finale della Copa America del centenario. In campo Argentina e Cile, di nuovo. I 120 minuti terminano 0-0, di nuovo. Si va ai rigori e il Cile vince. Di nuovo. Per l’Albiceleste e, soprattutto, per Leo Messi è un incubo a occhi aperti. Anche perché non solo l’Argentina viene sconfitta dagli undici metri per la seconda volta di fila, ma lo fa venendo tradita dal mancino della Pulce proprio con il tiro decisivo che avrebbe potuto tenere in corsa i suoi. Messi, alla fine in lacrime, annuncia l’addio alla Nazionale; salvo poi ripensarci poche settimane dopo. Per fortuna.
PORTOGALLO RE DI FRANCIA – Nella prima parte avevamo accennato qualcosa parlando della mietitura di successi griffata Ronaldo. Nel carniere 2016 di CR7 ci è finita la gemma più preziosa, sicuramente irripetibile nella sua carriera e, forse, nell’intera storia del Portogallo. Laddove aveva fallito Eusebio, sono riusciti il madridista, Eder, Joao Mario e compagnia bella: vincere un trofeo con la maglia della Nazionale. Dopo il Leicester, ecco l’altro under dog d’annata: il Portogallo. I lusitani, più bravi nei pareggi che a tirare in porta e con un Ronaldo quasi sempre a mezzo servizio (uscito pure anzitempo in finale giocando solo 25 minuti), conquistano il titolo europeo davanti agli attoniti spettatori francesi nella notte del 10 luglio. La Francia, battuta ai supplementari, non si capacita di essere caduta tra le mura amiche in un torneo continentale. Non era mai successo. Poteva capitare soltanto in un anno così.
LA TRAGEDIA DELLA CHAPECOENSE – Eccoli qua, i brividi. Eccolo qui, il dolore vero. Il dolore di una piccola Società, il dolore di un Paese intero. E un attimo dopo, il dolore del pianeta. Perché, d’accordo, al Mondo muore tanta gente ogni giorno; ci sono guerre, muri e sofferenza; c’è la Siria, c’è Aleppo. Ma quando una squadra di calcio – quasi tutta – finisce la sua corsa pochi attimi prima di vivere la favola della prima e storica finale di Copa Sudamericana, ti si stringe qualcosa nello stomaco. Il 28 novembre l’aereo che portava i brasiliani verso la Colombia, precipita poco prima di Medellin. Manca carburante, c’è troppo peso. Così l’apparecchio va giù. In tutto 77 passeggeri compreso l’equipaggio. Si salvano in 6, 3 dei quali tesserati della Chapecoense (Neto, Follman e Ruschel). Un piccolo miracolo nel fango della tragedia. Un appiglio per ricordare. Un appiglio per celebrare il futuro che nessun incidente potrà mai fermare.
PELLEGRI VS AMADEI – La linea verde dei Club di Serie A è sempre più nutrita. L’Atalanta fa scuola da tempo, le big si allineano seppur con fatica (Milan e Juve su tutte), ma il record del più giovane se lo porta a casa il Genoa. Il 22 dicembre, storia di pochi giorni fa: durante la gara tra il Grifone e il Torino, Juric manda in campo Pietro Pellegri, genovese d.o.c. classe 2001. L’attaccante potrà sempre dire orgogliosamente di aver riscritto una pagina della storia del nostro calcio: infatti, con il suo ingresso nella gara contro il Toro, Pellegri ha battuto il primato di Amadei che resisteva da 80 anni. Per il “piccolo” Pietro il primo gettone in Serie A è scattato a 15 anni, 9 mesi e 5 giorni, uno in meno del romanista che esordì a 15 anni, 9 mesi e 6 giorni. Vero che nel calcio contano le bacheche, ma una cosa così la racconterai per sempre. Almeno fino al prossimo record.
MILAN D’ARABIA – Dalla rabbia all’Arabia. In sintesi estrema ecco l’epilogo dell’anno solare milanista. Nel gennaio scorso si ironizzava sulla solidità degli sconosciuti cinesi che avrebbero dovuto prendere il timone societario; sulla scarsa qualità della rosa e del suo allenatore dell’epoca, Sinisa Mihajlovic; su Galliani, ostaggio di parametri zero e procuratori. Meno di dodici mesi dopo, al caldo del Qatar e sotto il cielo di Doha, il Milan rialza la testa e un trofeo. Battuta la Juventus ai rigori nella finale di Supercoppa italiana, eroi di serata i giovani diavoli Donnarumma (blindato, a dispetto di Raiola), Pasalic e Suso (tra l’altro, parametro zero preso da Galliani quando il Liverpool stava per metterlo in un cassonetto dell’immondizia). Direttore d’orchestra, Vincenzo Montella. Partiture e musica sono sue, la capacità di tradurle in note udibili è del gruppo, conscio di avere pochi bravi solisti e del fatto che serva attenzione per portare avanti una melodia. Brava la vecchia Società, brava anche la nuova (per ora soltanto con il portafoglio) seppur ancora non ufficialmente in sella: bravi a lasciar lavorare in pace Montella, bravi a far passare qualche “stecca”.
E con questo è tutto, amici. Ci rivediamo nel 2017! Buon anno a tutti!
Commenta o partecipa alla discussione