2016 nel pallone (prima parte): dall’Alessandria al Leicester
Di Emanuele SaccardoNon è mai facile, a fine anno, mettersi seduti e fare una classifica dei fatti salienti che hanno caratterizzato uno sport. Meno che mai quando si tratta di calcio: le partite sono tante – forse troppe -, le storie sono potenzialmente infinite, la bilancia di ciò che viene dato e tolto non pende mai da un lato preciso. Figuratevi mettersi lì, con le mani a massaggiare le tempie, intenti a spremersi le meningi per sintetizzare il tutto in dieci punti. Ci proviamo ugualmente, in rigoroso ordine cronologico. E in due puntate.
LA FAVOLA ALESSANDRIA – Gennaio, primo mese dell’anno: il più freddo. Dalle parti del basso Piemonte che inizia a piegare verso Est e strizza l’occhio alla Liguria, ne sanno qualcosa. Sarà per questo che le gambe di chi abita là non tremano nemmeno più, neanche quando c’è da spostarsi a Torino per ospitare il Milan. In ballo c’è la possibilità di arrivare fino a Roma e vedere da vicino la Coppa Italia. L’Alessandria non prenderà mai il treno per la Capitale, ma resterà in saecula saeculorum la sua doppia semifinale di Tim Cup. Anche se, al ritorno a San Siro dopo più di 56 anni (ultima volta il 7 febbraio del ’60 in Serie A), finisce per prenderne 5 dal Diavolo. Restano gli scalpi eccellenti di Palermo e Genoa da esibire ai nipotini.
PENTA JUVENTUS – Il calendario corre, siamo già ad aprile. Il giorno è quello della Liberazione. E la festa per il quinto scudetto consecutivo della Juventus ha davvero un sapore liberatorio. C’era da mitigare l’ennesima delusione per la Champions finita prematuramente, c’era da alimentare la prospettiva del double scudetto-Coppa Italia (poi centrato), c’era da eguagliare la Vecchia Signora degli anni Trenta. E c’era anche da legittimare con il tricolore il record di imbattibilità di Buffon. In qualche modo, c’era da far passare in secondo piano la possibile impresa di Higuain (poco oltre realizzata contro il Frosinone) di scavalcare Nordahl: finisce 36 a 35, record di gol in un solo torneo abbattuto dopo 66 anni. Il fatto che la Juve oggi insegua, a buon diritto, la leggenda del sesto scudetto di fila e che il Pipita vesta bianconero, beh, non sembra un caso.
SIR (O SOR) CLAUDIO D’INGHILTERRA – Che ad altre latitudini fosse l’anno buono per gli under dog, quelli cioè che partono a fari spenti senza i favori del pronostico, lo si era già ampiamente intuito. In quanti ci avrebbero scommesso? Ma in maggio si realizza l’irrealizzabile: il Leicester guidato da Ranieri vince la sua prima Premier League. Ci sono voluti 132 anni e un allenatore italiano per farlo, e in che modo: con due turni di anticipo e dopo che la stagione precedente le Foxies avevano evitato per il rotto della cuffia la retrocessione in Premiership. Oggi la classifica di Ranieri e soci non è delle più rosee, anzi, fa gli occhi dolci al fondo classifica invece che ai piani nobili. Ma Sir/Sor Claudio ne ha comunque combinata un’altra: qualificarsi come prima del proprio girone (e in anticipo) agli ottavi di Champions League. L’avversario sarà il Siviglia.
TRISIVIGLIA – Già, il Siviglia. Quello che sotto la guida di Emery ha messo in bacheca 3 Europa League consecutive. Quello che nella finale del 18 maggio ha seppellito i sogni del Liverpool di Klopp senza complimenti. Quel Siviglia in parte non c’è più: Banega è all’Inter, Emery è emigrato a Parigi. Però in Andalusia non si smette di sognare: sotto la guida di Sampaoli, al netto delle logiche di adattamento, la squadra è terza nella Liga, a un solo punto dal Barcellona. E gli ottavi di Champions sono un grande stimolo per costruire qualcosa in più.
UNDICI REAL – A metà del nostro percorso, incontriamo la faccia più luccicante delle due Coppe continentali europee: quella dalle grandi orecchie, quella che i nostalgici non smetteranno mai di chiamare Coppa dei Campioni. A San Siro, il 28 maggio, va in scena il derby di Madrid. Come a Lisbona, storia di due anni prima. E la storia di ripete quasi uguale a se stessa; quasi, perché ci vogliono i rigori per regalare la Undécima al Real Madrid, con buona pace dell’Atletico e di Simeone. Ma tant’è. Questa volta il condottiero non è Ancelotti, emigrato di lusso in Germania; la faccia sorridente dei Blancos ha i lineamenti di Zidane. E il minimo comune denominatore tra i due è sempre e ancora Cristiano Ronaldo: suo il penalty decisivo che spegne i sogni dei Colchoneros. Un anno incredibile per CR7, un anno che per lui meriterebbe un elenco a parte. Aperto con la Champions, chiuso con il quarto pallone d’Oro in carriera (il terzo in quattro stagioni) e il titolo Mondiale per Club. Nel mezzo la Supercoppa Uefa e l’Europeo francese. Fate voi.
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