Il closing (forse) si avvicina.. Il nostro declino calcistico ha gli occhi a mandorla
Di Mauro D'AmicoGli “uomini dagli occhi a mandorla” hanno intenzione di impossessarsi del mondo del calcio, soprattutto del calcio italiano, e i negozi che vediamo in tutte le città e in tutti i paesi d’Italia con delle lanterne rosse appese all’insegna, ci dimostrano che quando hanno intenzione di entrare nell’economia di uno Stato ci riescono alla grande. E in questi lunghi mesi di vicinanza al closing milanista ci siamo sentiti dire di tutto: “Abituatevi, è l’effetto della globalizzazione” oppure “Ma di che vi lamentate? In Inghilterra sono anni che funziona così”. E altri cliché di vario genere. Ma tanta gente non ha fatto conto di un cosa.. Siamo in Italia. Il Paese tradizionalista per eccellenza. Noi vogliamo mangiare la pizza, andare in giro su una Vespa e guardare il Festival di Sanremo. E allo stesso tempo amiamo ascoltare le partite alla radio preferibilmente alle 15 e con la voce di Francesco Repice; ci emozioniamo a rivedere le urla di Fabio Grosso e di Marco Tardelli; proviamo ancora nostalgia nei confronti del Foggia di Zeman o del Pescara di Galeone. La nostra storia conta più di ogni altra cosa. E la nostra storia è anche fatta da Gaucci che rischia di menare Matarrese dopo un Perugia-Bari; è fatta da Adriano Galliani che rischia un infarto dopo ogni gol del Milan; è fatta da Massimo Moratti che durante un derby fa il gesto dell’ombrello ai tifosi Rossoneri; è fatta da Aurelio De Laurentiis che scappa via col motorino di uno sconosciuto dopo un normalissima presentazione di calendario di Serie A; e se vogliamo andare ancora più indietro nel tempo, è anche fatta dallo storico presidente del Catania – Angelo Massimino – che intende “acquistare l’amalgama” per migliorare la rosa. Quindi mi chiedo: come possiamo abituarci a noiosissime conferenze stampe in cui si parlerà solo di marketing? La faccia confusa di Erick Thohir negli spalti di “San Siro”, ad esempio, non manca a nessuno. Ma con questo non dobbiamo pensare che il nostro sia un Paese vecchio e arretrato (almeno non in tutto), ma il modo migliore per avanzare e rinnovarci non era sicuramente questo; onestamente non penso ci sia da fidarsi molto di gente che paga 16 milioni l’anno Graziano Pellè (buon giocatore, non di certo un campione). Basti pensare alla società Juventus, che ha distrutto il “Delle Alpi” per avere uno stadio di proprietà, e che per avere un marchio maggiormente vendibile ha anche cambiato il logo scatenando le ire dei tifosi. Ma non ha cambiato le radici e probabilmente mai lo farà. Il movimento calcistico italiano, purtroppo, ha sbagliato tutto. Dalla distribuzione dei diritti televisivi al mancato investimento sulle strutture. Qualcosa in queste ultime due stagioni, però, è cambiato. Le società e gli allenatori hanno cominciato a puntare sui giovani, in particolar modo su quelli italiani. E ragazzi come Donnarumma, Rugani, Romagnoli, Caldara, Conti, Spinazzola, Gagliardini, Locatelli, Berardi, Bernardeschi, Chiesa, Petagna e Belotti, solo per citarne alcuni, sono ossigeno puro per il nostro calcio. Perché è grazie a loro se una squadra riesce a creare un propria identità, grazie a loro viene mosso il mercato all’interno della Serie A stessa, grazie a loro si possono effettuare plusvalenze per poi puntare su altri giovani, magari della Primavera.
Oramai, però, sembra essere troppo tardi. Lo è sicuramente per Inter e Milan che hanno pagato a caro prezzo tutti gli errori commessi negli ultimi anni (Adriano Galliani avrebbe dovuto capire prima che i parametri zero alla Mexes, alla Fernando Torres, alla Honda e compagnia bella non poteva essere la soluzione per colmare una voragine così grande rispetto al resto dei team europei). E allora quando allo stadio “Giuseppe Meazza”, sabato 15 aprile, il giorno del derby – e sopratutto il giorno dopo questo tanto agognato closing – vedremo spuntare un uomo piccolo con gli occhi a mandorla, non sarà, aimè, Silvio Berlusconi che ha optato per un altro lifting. Ma sarà la fine di un’era, la fine di una storia d’amore lunga 31 anni. Speriamo non sia la fine di un’epoca ultracentenaria, quella del nostro campionato. Non resta, dunque, che augurarci che questi misteriosi uomini asiatici facciano solo il bene delle società milanesi e di tutta la Serie A intera. Perché noi italiani abbiamo bisogno di ricominciare a sognare, abbiamo bisogno di tornare ad ammirare il campionato più bello al mondo, con la speranza di vedere, un giorno, al capo delle società italiane ancora Presidenti-tifosi. Perché per noi poche cose sono importanti come il calcio, perché nessuno ama il calcio quanto noi italiani.
Articolo scritto da Mauro D’Amico.
Commenta o partecipa alla discussione