Ennesima bufera arbitri: in attesa della Var occorre buonsenso
Di Emanuele SaccardoAssodato da tempo che i vertici del calcio mondiale hanno idealmente dato ragione a Biscardi e soci, quelli che per decenni hanno buttato fiato al vento chiedendo la moviola in campo, di lavoro da fare ce n’è ancora parecchio. In primis, la Var (la moviola in campo, appunto) non è ancora una realtà del nostro campionato: si discute e si lavora per tentare di inserirla in Serie A partendo dal 2018. In secondo luogo, da sempre, in pochi aiutano l’operato settimanale degli arbitri.
Già. In un Paese nel quale la mentalità imperante crede che siano gli arbitri ad aiutare questa o quella squadra, si è finiti col dimenticare la cosa più importante: il buonsenso, la misura. Il primo suggerisce che anche le ‘giacchette nere’ (che ormai di nero hanno poco) sbagliano, sono fallibili tanto quanto un attaccante che si mangia un gol clamoroso o un portiere che incappa nella classica papera. Gli arbitri e i loro assistenti sbagliano di più: vero, a volte. Ma non ci si interroga mai sul perché: tendenzialmente arbitro e guardialinee corrono diversamente dai calciatori, hanno meno pause e più allunghi. Sugli scatti ci sarebbe da discutere. E un assistente di linea, oltretutto, è costretto a correre con la testa girata di 90 gradi, un qualcosa di innaturale che costringe la trachea a spezzare continuamente il fiato. Il risultato è una inevitabile mancanza di lucidità oggettiva man mano che i minuti passano. Non basta l’allenamento, sono esseri umani.
Qualcuno punta poi il dito sugli assistenti di porta: cosa ci stanno a fare? Sì, commettono errori anche loro: chiedete a due persone di descrivervi lo stesso evento di cui sono state testimoni e vedrete che ci saranno delle discordanze, anche profonde. Si chiama, ancora una volta, fallibilità umana. Certo in alcuni casi gli errori sono davvero grossolani, ma vale il discorso di qualche riga in alto: non sono forse clamorosi anche quelli di attaccanti e portieri?
Insomma, tutto questo preambolo per tentare di gettare acqua sull’incendio ennesimo divampato dopo la giornata numero 26 di Serie A. Complottismo e dietrologie varie hanno trovato facile nutrimento su diversi campi: dal penalty che ha dato il successo alla Lazio sull’Udinese, a quello che ha permesso al Milan di espugnare per la prima volta il Mapei Stadium del Sassuolo, arrivando al big match tra Roma e Inter in cui tra rigori non dati e un presunto fallo di Naingollan su Gagliardini (azione che ha portato al secondo gol del belga) l’atmosfera è diventata rovente.
In tutte le gare citate gli arbitri hanno commesso errori. Non tutti quelli che gli sono stati attribuiti, sicuramente alcuni decisivi. Purtroppo capita. E chi scrive è convinto assertore del fatto che, alla fine di un torneo, la bilancia tende a restare comunque in equilibrio tra il segno più e il meno. La differenza sostanziale è nell’approccio alla questione: se anziché errori li si chiama torti, si parte già con il coltello tra i denti e l’atteggiamento prevenuto tipico di chi non accetta mai una sconfitta.
Questo, a nostro parere, il nodo più duro da sciogliere: la cultura della sconfitta. Non piace a nessuno perdere, tifosi e atleti in questo sono fratelli, ma è necessario imparare a farlo per resettare prima possibile la memoria e non trovarsi, casomai, ad attaccarsi ancora dopo anni a questo o quel rigore non dato, gol annullato, espulsione ingiusta e via discorrendo. La tecnologia prova a venire in soccorso di arbitri, tesserati e mentalità generale. La Goal Line Tech, per esempio, ha azzerato nello specifico proteste, dubbi e maldicenze. Ci fosse stata 5 anni fa, oggi non si parlerebbe più del gol di Muntari a ogni Milan-Juventus che il calendario manda sulla Terra.
Chissà quanto e come la Var potrà ridurre il vizio di additare gli arbitri come unici responsabili delle mancanze della nostra squadra del cuore. Occhio e croce poco o niente, perché un conto è un allarme che suonando dice incontrovertibilmente che la palla ha superato la linea di porta, un altro è rivedere immagini soggette all’interpretazione umana. Regolamento o meno alla mano, se non cambia la mentalità di base ci sarà sempre da discutere in modo distruttivo. E sarebbe l’ennesimo peccato.
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