Paolo Rossi
Di Alessandro Lugli“Prato, casa Rossi, è il 1970.
Paolo segue in televisione la partita Italia-Brasile insieme all’onnipresente nonno Giovanni e al padre Vittorio. In salotto, con la solita formazione: il nonno sprofondato dentro la sua insostituibile poltrona marrone, tutti gli altri sulle sedie, rigorosamente disposti a due a due. Paolo accanto al nonno, con gli immancabili pantaloni corti, le scarpette da calcio e la bandiera tricolore. Tutto è pronto per fare un tifo come si deve. Per gridare Italia a squarciagola, per sentirsi italiani ed esserne orgogliosi. Si canta l’inno, ne vale sempre la pena. È un altro motivo di forte condivisione e senso di appartenenza.
L’Italia è reduce dalla clamorosa disfatta d’Inghilterra di quattro anni prima e adesso gioca la finale del campionato del mondo, all’Azteca di Città del Messico, contro lo straordinario Brasile di Pelé. Già una specie di marziano del pallone. E Paolo lo ammira, lo segue, quando è possibile, in televisione. Si informa su quello che fa. Pelé è unico. Una leggenda del calcio mondiale.
E quando la Nazionale azzurra perde la finale, con un Rivera in panchina che assiste, atterrito e impotente, alla disfatta della sua squadra, Paolo piange lacrime silenziose ma intense, di un amaro che disgusta e cambia il sapore alla saliva. Paolino guarda nonno Giovanni che con un fazzoletto bianco asciuga una lacrima sul viso, e gli promette che un giorno, non troppo lontano, vendicherà l’Italia distruggendo i brasiliani.
«Te lo assicuro, nonno. Lo farò per te. Il Brasile pagherà questo affronto. Io giocherò e li sconfiggerò con le stesse armi, in campo, a suon di gol.»
Nonno Giovanni finalmente sorride, lo tira verso il petto, lo abbraccia più forte che può, lo bacia sulla fronte con delicatezza e gli dice con una dolcezza mai vista prima d’ora: «Me lo sento, ragazzo mio, ce la farai. E io ti seguirò, ovunque sarai. Ovunque sarò!».”
-Federica Cappelletti (“Quanto dura un attimo?”)
Pelle d’oca.
Ce l’ha fatta, quel bambino. Che da Paolino è diventato Pablito.
Che da bambino che sognava di battere il Brasile, è diventato l’uomo che l’ha fatto piangere.
Tanti auguri, ovunque tu sia.
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