Real Madrid, buona la Décima: Ancelotti nella Storia
Di Emanuele SaccardoReal Madrid – Atletico Madrid 4-1 d.t.s.
36′ Godin (A), 90′ (+3) Sergio Ramos, 110′ Bale, 118′ Marcelo, 120′ Cristiano Ronaldo, rig. (R)
L’ossessione è appagata, l’ansiogeno appetito madridista è stato finalmente saziato. Florentino Pérez, Presidente del Real Madrid, potrà finalmente fare pace con i suoi personalissimi fantasmi: dopo un’attesa lunga dodici anni è arrivata la seconda Coppa dei Campioni sotto la sua gestione, la più importante perché significa cifra tonda. Dieci, mai nessuno come i Blancos. E mai nessuno come Carlo Ancelotti, arrivato alla quinta Champions in carriera, la terza da tecnico, forse la più bella.
Ora Pèrez, se mai seriamente ne ha avuta l’intenzione, non penserà neanche lontanamente a liquidare Don Carlo – che i vertici del club spagnolo, per inciso, avrebbero voluto sulla panchina del Real già una decina di anni fa. Polemiche fisiologiche, dubbi tattici, Liga gettata al vento e quant’altro sono stati spazzati via da un doblete di lusso; Ancelotti vince la Copa del Rey e la Champions League al primo tentativo e, sopra ogni altra cosa, ha avuto l’enorme merito di ricompattare uno spogliatoio che la gestione Mourinho aveva contribuito a sezionare in clan.
La vittoria sull’Atletico Madrid del nervosissimo Simeone è stata figlia soprattutto della diversa esperienza internazionale tra i ventidue interpreti sul terreno di gioco del Da Luz: i Colchoneros, in vantaggio grazie alla rete di Godin propiziata dalla sciagurata uscita di Casillas, nell’ultimo quarto d’ora dei novanta regolamentari hanno arretrato oltre modo il baricentro della squadra, mostrando una naturale ma controproducente paura di vincere. L’arrembaggio quasi isterico delle Merengues e la conseguente inzuccata vincente di Sergio Ramos a tempo più che scaduto sono sembrati un epilogo inevitabile. Raro, certamente, ma inevitabile.
La proverbiale cicca di Ancelotti, forse ereditata dal maestro in pensione Sir Alex Ferguson, dal primo minuto dei supplementari ha iniziato a rimbalzare meno nervosamente tra le fauci del tecnico emiliano; quasi a voler sottolineare come, una volta rimessa dritta la barca, l’attracco fosse impossibile da mancare. Anche per quei prodi marinai avvezzi alla tempesta come Bale e Cristiano Ronaldo, a dispetto di una serata poco brillante. Vuoi per l’arbitraggio dell’inadeguato Kuipers, reo di aver trasformato il terreno del Da Luz in un campo di girasoli a furia di cartellini gialli, vuoi per gli strascichi di infortuni difficili da dimenticare. Eppure, a differenza di Diego Costa che sulla sponda opposta del Manzanarre è stato costretto a gettare la spugna dopo meno di dieci minuti, CR7 e Mister cento milioni hanno resistito. Entrambi hanno trovato il gol, decisivo quello del gallese; entrambi hanno azzerato le ombre che incombevano sulla testa del capitano Casillas che, fosse uscito il colpo di testa di Ramos, forse avrebbe chiesto la cittadinanza portoghese.
Il calcio è una bestia strana, Ancelotti lo sa bene: in conferenza stampa e ai microfoni dei giornalisti italiani ha candidamente ammesso che una finale riacciuffata a tempo scaduto non è cosa di tutti i giorni. Il calcio non è una scienza esatta, lo sa perfettamente Iker Casillas, trovatosi a sollevare l’ennesimo trofeo da capitano dopo aver assaporato l’amaro di una sconfitta imminente. Il calcio, al pari di pochi altri sport, è una bilancia in perenne equilibrio sulla follia, lo hanno compreso una volta di più i tifosi del Real e dell’Atletico.
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