Tim Cup: il Milan gioca, la Juventus vince e fa il double
Di Emanuele SaccardoMilan – Juventus 0-1 (0-0 d.t.r.)
111′ Morata
L’epilogo della finale di Tim Cup tra Juventus e Milan porta in dote la fiera del “mai accaduto”. Non era mai accaduto che un Club italiano centrasse per due anni consecutivi l’accoppiata scudetto-Coppa Italia: ci poteva riuscire soltanto questa Juventus. Non era mai accaduto che il Milan di Berlusconi restasse fuori per tre anni di fila dalle competizioni internazionali: ci poteva riuscire soltanto questo Milan (sia chiaro: quello della stagione, non quello della finale). Dulcis in fundo, non era mai accaduto che il Sassuolo approdasse ufficialmente in Europa League, seppure dal preliminare.
Il prologo del match tra Milan e Juventus, invece, era già una sorta di epitaffio: povero Diavolo, che pena mi fa, citando direttamente Riccardo Cocciante. Già, perché il verdetto era dato per scontato, con la Juventus a farla da padrone in lungo e in largo dall’inizio alla fine. Manco per niente, perché la carta è una cosa e il campo è un’altra. Infatti è il Milan a metterci più cuore, più cattiveria, a creare i presupposti per sbloccare l’incontro; tutto questo specialmente nella prima frazione di gioco. La Juventus, aggredita, fatica a capirci qualcosa, a imbastire la sua reazione, sia nel primo che nel secondo tempo.
Le parate di Donnarumma si contano sulle dita di una mano, il problema per Brocchi è che anche quelle di Neto non sono tante né importanti. Così il match si trascina ai supplementari e viene deciso da Morata, entrato al minuto 108 e decisivo al 111′. Eccola qui, al centro del racconto, la differenza tra il Milan e la Juventus: i rossoneri si attaccano alla lezione tattica e alla reazione d’orgoglio, i bianconeri sono cinici e vincono anche le partite più complesse. In fondo, il calcio è semplice: se in rosa hai giocatori più bravi di quelli avversari, è molto probabile che il colpo letale parta dai piedi di uno dei tuoi.
Ecco come nasce il double storico tessuto da Allegri, Marotta e Paratici (che diventa treble con l’aggiunta della Supercoppa), ecco come si arriva a 11 Coppe Italia conquistate su 16 finali giocate. Ecco cosa deve tornare a imparare il Milan.
Per Brocchi, tuttavia, ci sono da salvare tante cose dopo la serata dell’Olimpico: la prestazione, senza dubbio, e il fatto implicito di aver costretto una corazzata a scendere a patti con un gommone (di per sé, il capolavoro maximo di Brocchi). E poi i punti dai quali sarebbe opportuno ripartire, come la tanto sbandierata linea verde: Donnarumma è una garanzia, Calabria ha dimostrato di poter fare a sportellate con gente del calibro di Pogba, Romagnoli sta trovando la sua personale quadratura, José Mauri andrebbe impiegato certamente di più. E infine gli altri tasselli da non lasciarsi scappare per poter costruire una squadra competitiva e spendibile fuori confine nei prossimi anni: De Sciglio, figliol prodigo ritrovato; Bonaventura, fosforo indispensabile; Niang, ottimo gregario di talento in attacco; Kucka, l’uomo che ha dimostrato di sapere come si fa legna.
La festa, però, adesso è tutta della Juventus. Appuntamento fissato per provare a toglierle il sorriso: la prossima stagione.
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