Guardiola si beve il Porto, Neymar si prende il Barcellona
Di Emanuele SaccardoQuando si sbaglia, bisogna ammetterlo. Quando si pensa che una squadra sia bollita, che il suo allenatore abbia fallito clamorosamente l’appuntamento europeo, che i dissidi interni siano determinanti, e poi un perentorio 6-1 ti sbugiarda lasciandoti anche un po’ sbigottito. Ecco, adesso lo ammettiamo: su Guardiola e il suo Bayern ci eravamo sbagliati e siamo sbigottiti. Il destino del filosofo Pep è legato anche all’altra squadra che ha centrato le semifinali, il Barcellona; già, perché pure per loro il requiem era stato composto con troppo anticipo. “Il ciclo è chiuso”, si diceva; “non è più il Messi di un tempo”, si malignava; “l’eredità di Guardiola è pesante e non esiste un erede”, si sanciva. Luis Enrique ha zittito tutti, ha ridato verve ad una squadra sì con la pancia piena, ma con interpreti tutt’altro che bolliti. E un Neymar in più.
Bayern Monaco – Porto 6-1 (and. 1-3, tot. 7-4)
14′ Alcantara (B), 22′ Boateng (B), 27′ e 40′ Lewandowski (B), 36′ Mueller (B), 73′ Martinez (P), 88′ Xabi Alonso (B)
Non è stata Playstation ma lo è sembrata molto. La gara di ritorno dei quarti di Champions dell’Allianz Arena, ha messo sin da subito in chiaro le cose: il 3-1 del Do Dragao è stato soltanto un incidente di percorso. Gli errori individuali che hanno portato i lusitani a festeggiare una vittoria per certi versi inaspettata, non sono stati altro che episodi sciagurati della retroguardia tedesca. Poi il Porto è tornato sulla Terra e il Bayern è volato di nuovo sulla Luna.
In questa stagione gli uomini di Guardiola avevano già piazzato 7 sigilli alle spalle dei portieri di Roma e Shakhtar, ieri sera sono andati vicini ad un clamoroso tris facendone “appena” 6 ai portoghesi, 5 dei quali nei primi 40′ di gioco. Roba da marziani, soprattutto pensando che gli “alieni” Robben e Ribery erano e sono ancora fermi ai box. L’unità di intenti del gruppo del tecnico catalano si può riassumere nell’epilogo del match: Mueller, autore della rete del momentaneo 4-0, sale in tribuna, impugna un megafono dei tifosi e, in mezzo a questi, arringa folla e compagni di squadra. Se i bavaresi hanno centrato la quarta semifinale di fila, un motivo che va oltre il campo ci sarà.
Guardiola gongola, magari sognando un incrocio in semifinale proprio contro il suo passato blaugrana. Intanto se la gode pensando al bomber Lewandowski, tornato tale con la doppietta di ieri (il primo gol è un autentico capolavoro corale), e ad Alcantara, vero pupillo dell’allenatore spagnolo. Il giovane centrocampista ex Barça, (ri)voluto fortemente da Guardiola, ha superato i problemi fisici che lo hanno a lungo afflitto (e per i quali il medico sociale del Bayern è uscito recentemente dai radar) prendendosi la scena a colpi di reti – 2 nelle sfide contro il Porto – e grandi giocate. Quando anche Robben e Ribery torneranno nei ranghi, le avversarie avranno argomenti per farsi tremare i polsi.
Barcellona – Psg 2-0 (and. 3-1, tot. 5-1)
14′ e 34′ Neymar
Dopo il 3-1 di Parigi, il destino di Barcellona e Psg era già segnato: i catalani, fortissimi sul proprio campo, andavano incontro ad un semplice espletamento di formalità. I francesi, al contrario, avevano davanti un muro pressoché insormontabile fatto di maglie blaugrana e maturità europea deficitaria. Pure con una squadra di grande spessore farcita dei vari Cavani, Verratti, Pastore e dal rientrante Ibrahimovic, il Psg ha ribadito ciò che già era emerso all’andata, ovvero sia che il Barça è superiore in tutto, a partire dalla testa.
Se Ibra patisce da sempre la musichetta della Champions (lo svedese dice che non è un’ossessione, forse ormai si è rassegnato a non poter sollevare la Coppa dalle grandi orecchie), così non è per Neymar e soci. Brillanti, costantemente in controllo, convinti dei propri mezzi e con una fame di successi invidiabile. Non tanto per giocatori come O’Ney, ancora all’inseguimento della prima Coppa Campioni in carriera, quanto per Iniesta (sontuoso nella sfida del Camp Nou), Messi, Busquets e Piqué; questi ultimi tutti teoricamente a pancia piena dopo gli allori a ripetizione dell’ultimo decennio.
Grande merito va a Luis Enrique, tecnico mai troppo amato per il suo carattere schietto, ma che in virtù di esso ha saputo dare un’impronta al contempo nuova e antica allo spogliatoio. Tanta testa, dunque, come accennavamo prima. L’ex allenatore della Roma ha fatto leva sull’orgoglio dei suoi, da qualcuno prematuramente etichettati come giocatori sulla via del tramonto; questi lo stanno ripagando seguendone i dettami che si traducono in grandi prestazioni, viatico per un possibile successo finale.
Accanto al “vecchio”, tuttavia, è necessario che il nuovo in avanzamento si dimostri all’altezza. Bersaglio centrato con Neymar: il fuoriclasse brasiliano ieri si è preso sulle spalle la squadra, mostrando una maturità sempre più in crescita (Blanc prenda appunti…) e il consueto talento sotto porta. La doppietta di O’Ney non vale solamente per il risultato, è specchio della mentalità di tutto il Barcellona: fame, fame e ancora fame. Le contendenti sono tutte avvertite.
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