Napoli, le grane di Sarri: furia presidenziale, fragilità e assenza di un leader
Di Emanuele SaccardoTre indizi fanno certamente una prova, lo insegnano i gialli. Una prova è normalmente qualcosa di inconfutabile, un fatto che non può appellarsi ai se e ai ma. Ieri sera, al fischio di chiusura della sfida tra Napoli e Besiktas, se ne sono accorti anche Sarri e i suoi uomini. Più di tutti, però, pare essersene reso conto il patron partenopeo De Laurentiis. Il Presidente, come del resto il suo tecnico, ha bene in testa che le tre sconfitte consecutive tra campionato e Champions League costituiscono la prova incontrovertibile della fragilità organica del Napoli.
A differenza del tecnico, parso tutto sommato tranquillo e con le idee piuttosto chiare su come rimettere in carreggiata la squadra, De Laurentiis ha preso fuoco. Sembra, infatti, che al termine della partita con i turchi sia sceso negli spogliatoi per scaricare rabbia e frustrazione contro il gruppo, allenatore incluso. Questo spiegherebbe il ritardo di Sarri alla conferenza stampa post gara, appuntamento al quale, lo ribadiamo, il mister toscano si è presentato con una faccia tutt’altro che scossa.
Insomma, il momento da romanzo giallo degli azzurri potrebbe essere già stato archiviato da Sarri: lui, meglio di chiunque altro, conosce il materiale che ha a disposizione. In più il calendario darà una mano, perché le prossime due sfide di campionato metteranno il Napoli di fronte a Crotone ed Empoli. Due gare dalle quali dovranno gioco forza uscire 6 punti tondi tondi, pena l’apertura ufficiale di una crisi vera.
In campionato, dopo lo stop inatteso di Bergamo e quello interno con la Roma, con l’implicita conferma che adesso la vera anti-Juve è la formazione giallorossa, il Napoli è fermo al quinto posto in coabitazione con il Torino. In Champions ha perso l’occasione di mettere in ghiaccio il passaggio agli ottavi con tre turni di anticipo. Non bene, dunque, considerando le solite aspettative che circondano Castel Volturno.
Sarebbe però troppo semplicistico imputare il mini periodo nero degli azzurri all’assenza di Milik, bravo a “tirare la carretta” fino all’infortunio, ma per certi versi inaspettatamente. Sarebbe ancora più facile puntare di nuovo il dito contro il tradimento di Higuain: non trasformava il piombo in oro prima, non lo fa nemmeno adesso che veste bianconero. E, a ogni buon conto, non esiste la controprova. Ed è ancora più ingiusto prendersela con Insigne, come ha fatto il pubblico del San Paolo. Va bene, il tifoso paga e con il biglietto acquista anche il diritto alla critica, ma i fischi per Lorenzo, a fronte di un rigore sbagliato e di un periodo transitorio tra i meno prolifici della sua carriera, sono sembrati affrettati.
A Napoli non c’è un solo colpevole. Nemmeno Sarri, che pure ci ha messo del suo con alcune scelte discutibili: tenere in panchina Gabbiadini fino al 64′, visto l’impatto che ha avuto in gara (un gol su rigore, uno in rovesciata annullato e una prestazione finalmente convincente), è stato un errore. Ma Sarri non ha la bacchetta magica e non vede il futuro, per certi versi schierare Mertens falso nueve era logico, considerando il rendimento globale del belga sino a qui.
Sarri forse non si è reso abbastanza conto del momento no di Jorginho che, al di là dell’errore che ha spalancato la porta per il 2-1 del Besiktas, pare avere bisogno di rifiatare perché la spia della riserva è accesa da un po’. E lo si è visto anche in fase difensiva, alla quale oltre alla debole interdizione dell’italo brasiliano vanno sommate l’assenza di Albiol, l’intermittenza di Koulibaly e le reiterate indecisioni di Reina.
Ad aggravare il carico di falle, c’è che al Napoli manca un vero leader in campo, il classico uomo che sa prendersi la squadra sulle spalle nei momenti difficili. In sintesi, gli azzurri stanno viaggiando su di una china pericolosa: basta un niente per mandare in fumo progetti e convinzioni. Senza se e senza ma.
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