Tim Cup: Inter in semifinale, veleno tra Mancini e Sarri
Di Emanuele Saccardo74′ Jovetic, 92′ Ljajic
Dovremmo parlare soprattutto di calcio, di un’Inter ricompattata in virtù della qualificazione alla semifinale di Tim Cup. Dovremmo parlare principalmente di cose legate al campo (citando Sarri), di un Napoli che rallenta – complice, forse, il turnover – e dice ciao alla Coppa Italia. Dovremmo chiacchierare di quel destro a giro da cineteca firmato Jovetic, o della galoppata letale di Ljajic valsa il gol ammazza Napoli in pieno recupero. Oppure dovremmo discorrere dell’immalinconito Icardi in panchina e di Kondogbia, 30 milioni più bonus nel mercato estivo, eppure ancora oggetto misterioso nello scacchiere tattico dell’Inter.
Già, dovremmo fare prevalentemente tutto questo. Tuttavia a tenere banco, anche nel day after di Napoli-Inter, è la bufera scatenatasi sulle teste di Mancini e Sarri, rispettivamente guide tecniche di nerazzurri e partenopei. Per chi non avesse ancora letto del “fattaccio”, spieghiamo: al momento del 2-0 firmato Ljajic, le telecamere puntano su Mancini, visibilmente contrariato, che cammina a passo spedito verso la panchina del Napoli. Dal suo labiale si coglie un: “Cos’hai detto? Cos’hai detto?”, ripetuto all’indirizzo di Sarri, a pochi centimetri dalla sua faccia. Fin qui niente di nuovo, nulla che non sia già stato visto e stravisto su qualunque rettangolo verde in giro per il mondo (e non solo). Sono cose di campo, citando di nuovo Maurizio Sarri.
L’allenatore dell’Inter, con la gara ancora in bilico, chiedeva spiegazioni in merito all’entità del recupero (5 minuti concessi) a suo dire eccessivo. Sarri era innervosito sia per il punteggio che per l’espulsione di Mertens, avvenuta poco prima per somma di ammonizioni, reo di aver simulato in area con l’obiettivo di conquistare un penalty. Di qui gli animi elettrici e tesi. Cose di campo, direbbe una volta in più l’allenatore dei partenopei. Nel post gara, però, emerge la versione manciniana, spiattellata senza remore ai microfoni Rai. A quanto pare, Sarri avrebbe apostrofato il mister dell’Inter con epiteti molto meno eleganti di “omosessuale”. Grave? senza dubbio. Omofobo? Non ci giureremmo. Da evitare se sei un professionista di una certa esperienza ed età? Chiaramente.
Davanti alle telecamere fa capolino anche lo stesso Sarri, che velatamente – ma non troppo – conferma quanto detto in precedenza dal Mancio. Non parla di attacco omofobo e razzista (“Avrei anche potuto dirgli democristiano, certe cose scappano ma restano in campo”) e tiene a precisare che negli spogliatoi si è scusato, ricevendo per tutta risposta insulti da Mancini. Per Sarri, ennesima citazione, queste cose devono nascere e morire sul campo. Succedono.
Dunque: non vogliamo passare per bacchettoni, perché sappiamo bene che il campo da calcio è una zona franca dove davvero certe cose accadono. Il punto è, per l’ennesima volta, se è legittimo che si lascino accadere. Perché gli spalti sono a pochi metri, è un attimo continuare ad alimentare la miccia del fanatismo sportivo legato ai colori di questo o quel Club. Perché i professionisti del pallone sono i più inquadrati dell’Era moderna, nemmeno fossero attori di Hollywood, e pare strano ma sono un esempio per molti – specie giovanissimi -, nel bene e nel male.
Va da sé, dunque, che siano nate due fazioni ben distinte, ovvero chi sta dalle parte dell’allenatore dell’Inter e chi da quella del tecnico del Napoli. Chi condanna l’uno (“Mancini è un furbo, ha fatto la spia per destabilizzare l’ambiente Napoli”), chi l’altro (“Sarri dovrebbe vergognarsi, va licenziato subito”). Da un lato chi crede alla malafede del Mancio, per giunta “spione”, dalla parte opposta chi biasima senza appello il comportamento di Sarri.
Noi vogliamo offrire un punto di vista alternativo: e se le esternazioni di Mancini a fine gara, volute o lapsus, vere o false che fossero (“Sarri mi ha dato del gay, sono fiero di esserlo”) fungessero da grimaldello per iniziare a spalancare la porta dell’omertà sull’omosessualità nel mondo più bigotto che esista, cioè quello del calcio? Se permettessero, quindi, una serie di outing a raffica che tanto bene farebbero allo svecchiamento di una mentalità rimasta ancora legata agli albori del pianeta pallone? Difficile che accada, non in poco tempo almeno, ma non si sa mai.
Comunque su un punto restiamo fermi: Sarri non è un mostro, ha commesso un errore grave e per questo deve pagare, ad esempio come accadde il 25 marzo 2014. In quell’occasione il tecnico, alla guida dell’Empoli in Serie B, si lasciò andare sullo stesso argomento nel dopo gara del match perso a Varese. Non ripeteremo le parole che usò, ci limitiamo a sottolineare quanto la sua ingenuità talvolta sconcerti al pari del suo mirabile acume tattico. La tattica, già: questa sì è roba di campo. Di questo, solo di questo, dovremmo parlare.
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