Kakà decide di restare, chissà che passa per la testa di Sheva
Di Daniele Grattieri“Non si vende Kakà”, cantavano i tifosi rossoneri riuniti sotto la sede del Milan. E Kakà, in prima persona, ha scelto di non vendersi. Non dev’essere facile rispondere “no” a un’offerta con così tanti zeri: 19 milioni di euro all’anno per 5 anni solo alla voce “ingaggio”, più i vari denari dei premi ad obiettivo e degli sponsor, sono soldoni.
Qualcuno ha parlato di “schiaffo alla miseria”, ma alla fine il brasiliano ha scelto di rimanere al Milan, dove guadagnerà meno della metà, commosso dall’affetto che gli hanno tributato i tifosi rossoneri nell’ultimo weekend, oltreché convinto dalle ben più rosee prospettive sportive che offre il club di Berlusconi (non si dimentichi che l’ex corteggiatore Manchester City naviga, nell’attuale Premier League, a 22 punti dalla vetta, -19 dalla zona Champions).
Una scelta destinata a far discutere, a dividere: c’è stato infatti chi ha – sin da subito – anteposto le ragioni del cuore a quelle del portafoglio; chi, dinanzi a un’offerta simile, ha confessato “Avrei vacillato”; chi, infine, non se lo sarebbe fatto dire due volte, perché “Con tutti quei soldi…”. Ecco, appunto: qualcuno che ha già fatto lo stesso ragionamento di quest’ultima “corrente” di persone esiste – eccome – anche nel mondo del calcio.
Anzi, per essere più precisi c’è stata, pochi anni or sono, una vicenda assolutamente simile a quella di Kakà proprio in casa Milan. Stiamo parlando, ormai è chiaro, della vicenda di Andriy Shevchenko, l’attaccante ucraino che non più tardi di tre estati or sono assecondò la corte del multimilionario padrone del Chelsea Roman Abramovich, pronto a ricoprirlo d’oro per poterselo poi gustare ogni domenica dal palco d’onore di Stamford Bridge.
Shevchenko volò a Londra, nonostante le manifestazioni d’affetto dei tifosi, salvo scontare poi un (crediamo inconsapevole, inconscio) appagamento mentale, e pagare anche le conseguenze di quelle antipatie nate nello spogliatoio nei confronti del più famoso, più pagato, “Cocco del Presidente”, etc. compagno di squadra. Insomma, dagli onori della cronaca all’orlo di un esaurimento nervoso.
Kakà, che già era un beniamino della Curva, ora è l’idolo più luminoso dell’intera rosa rossonera per aver anteposto il valore dell’affetto a quello dei petrodollari. Ma, a questo punto, chissà che passa per la testa di Sheva…
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