Non solo Simeone: vince lo spagnolo, l’Europa s’inchina

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203241985-a6391aff-59a1-4362-b6cc-c6be71c85dc8Da Simeone a Pellegrini, passando per Guardiola: è la lingua spagnola a comandare nei principali campionati europei. E’ questa l’ideale targa ricordo che rimarrà appesa al portone della stagione che, un po’ ovunque, si è chiusa o sta per chiudersi. Un argentino vince nella terra di Cervantes, un cileno conquista la corona di Sua Maestà e uno spagnolo pianta la bandierina catalana in piena Baviera; tre stili di vita differenti, tre caratteri agli antipodi ma una filosofia sportiva comune: vincere.

Diego Pablo Simeone ha conquistato la Liga alla guida dell’Atletico Madrid al termine di una cavalcata epica, chiusa al Camp Nou di fronte al Barcellona campione uscente e capace di dettare legge in patria in sei delle ultime dieci occasioni. Per la terza volta nella storia della Primera Divisiòn la resa dei conti è avvenuta all’ultima giornata, tra la prima e la seconda in classifica: come nel 1946 (Siviglia campione) e nel 1951 (proprio l’Atletico vinse il titolo) anche nel 2014 a trionfare è  stata la capolista. Come nel ’46, i blaugrana non hanno saputo ribaltare il pronostico e chiudono la stagione senza allori.

L’impresa del Cholo suggella il ciclo partito nel 2011 e già ricco di soddisfazioni: dopo l’Europa League, la Supercoppa europea e la Copa del Rey, Simeone issa i suoi più in alto di tutti anche in campionato, regalando ai Colchoneros il decimo successo della loro storia; un successo che mancava dal 1996 e, manco a dirlo, in quell’annata Simeone fu l’indomito condottiero sul terreno di gioco. Il ciclo biancorosso sotto la guida del tecnico argentino possiede i contorni del miracolo sportivo se si considera che nel 2011, quando El Cholo prese in mano la squadra, con gli stessi giocatori di oggi (o quasi) il club stazionava a metà classifica ed era alla deriva. Il carattere caliente dell’allenatore albiceleste e la sua straordinaria fisicità hanno contribuito fortemente alla risalita delle ambizioni e della convinzione di tutto l’ambiente; non è un caso che tra pochi giorni l’Atletico avrà la ghiotta occasione di tirare un altro brutto scherzo al Real di Carlo Ancelotti nella finale di Champions League.

Già, Ancelotti. Il suo bilancio non è male: alla prima stagione all’ombra del Bernabeu ha messo in cassaforte la Coppa del Re, si è piazzato al terzo posto nella Liga (a braccetto con il Barça) e ha raggiunto la finale di Champions alimentando il sogno proibito della Décima. Ma dopo gli scudetti in Italia, Francia e Inghilterra il suo percorso netto si ferma davanti alla scuola che parla spagnolo. Non va certo meglio al suo avversario di tanti derby meneghini, Roberto Mancini, che dopo il mezzo miracolo degli ottavi europei raggiunti con il Galatasaray non ha saputo vincere il titolo turco, abbandonandolo nelle mani del Fenerbahçe.

A parte Conte che in patria stravince, nel risiko europeo del pallone l’appeal italiano non è più quello di un tempo. Se ne sono accorti anche in Inghilterra e Germania: Oltre Manica il cileno e sornione Manuel Pellegrini, già tecnico di Real Madrid, Villareal e Màlaga, si è tolto la soddisfazione del doblete vincendo la Premier e la Coppa di Lega. Soprattutto il campionato rappresenta il suo capolavoro, perché giunto in rimonta sul Liverpool (a secco dal 1990) e perché bissa proprio quello targato Mancini nel 2012, portando la società a quota quattro in totale. In terra tedesca, invece, la Guardiola-mania pare essersi decisamente smorzata dopo il tracollo in Champions, eppure i numeri continuano a dare ragione al “filosofo catalano”: ventiquattresimo Meisterschale, stravinto (+19 sul Borussia Dortmund), e Coppa di Germania numero diciassette in bacheca. Ah, tanto per non dimenticare, ci sono anche il Mondiale per club e la Supercoppa Europea vinte nel 2013; a conti fatti manca solo la Champions e, francamente, come primo anno non sembra un saldo in rosso.

Merita senza dubbio menzione anche un’altra squadra, sebbene non sia spagnola e non sia guidata da un tecnico di madrelingua spagnola: la portoghese Benfica, traghettata con maestria in mezzo alla tempesta dal portoghese Jorge Jesus. I lusitani sono riusciti a vincere il titolo numero trentatré, insieme alla Taça de Portugal e alla Taça de Liga, vale a dire un triplete di tutto rispetto nonostante le stramaledizioni internazionali del compianto Bela Guttmann. Forse l’ottava finale europea persa (la terza in Europa League, tanto per cambiare contro un spagnola) adesso peserà meno dalle parti del Da Luz.


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