La partita del secolo: un altro angolo di visione
Di Alberto ZanichelliIl 17 giugno 2020 è stato commemorato il cinquantenario della partita del secolo: Italia-Germania 4-3, dei Mondiali 1970 in Messico. Lo stadio Azteca di Città del Messico, che non doveva ospitare quell’evento, ha avuto invece questo onore e per ricordarlo alle generazioni future, è stata sistemata una targa commemorativa, su un muro dello stadio.
Chi scrive era già un adolescente che avrebbe iniziato di lì a tre mesi la sua avventura al Liceo Classico. Sono in grado quindi di parlare di quella partita per averla vista, come milioni di Italiani, in quella notte tanto magica quanto adrenalinica. Quanti infarti sono stati sfiorati quella notte?
In questo mezzo secolo di quella partita si è detto di tutto, si è scritto di tutto e si è visto di tutto. È stata scritta una quantità industriale di articoli e di libri, alcuni dei quali pubblicati proprio in occasione di questo cinquantennale. Cosa può dire quindi uno come me, che non scrive per professione, che non sia già stato detto da altri? Eppure, voglio tentare anch’io quest’impresa e lo farò guardando non tanto alla partita in sé, quanto ai suoi protagonisti.
A mio modo di vedere il protagonista principale è… Karl Heinz Schnellinger. Pensiamoci bene: se non fosse stato nell’area italiana all’ultimo secondo dei 90 minuti regolamentari e non avesse segnato il gol del pareggio tedesco, la partita si sarebbe conclusa con un normale 1-0 per l’Italia.
Invece, la bellezza della partita e soprattutto quello che si ricorda di più, sono stati quei 30 minuti supplementari, in cui è successo di tutto e di più. Ironia della sorte, quel gol è anche l’unico che Schnellinger abbia segnato nelle sue 47 presenze in nazionale. Schnellinger all’epoca giocava nel Milan ed era un grande terzino, che aveva nel tackle scivolato il suo marchio di fabbrica.
Cresciuto nel Colonia, era arrivato in Italia al Mantova nel campionato 1963-64, il secondo dei Virgiliani in Serie A. Rimarrà solo una stagione, ma avrà come compagno di squadra nientemeno che Dino Zoff, oltre a Gustavo Giagnoni, Gigi Simoni recentemente scomparso, Ugo Tomeazzi, tutti diventati grandi allenatori. Dopo un anno alla Roma, Schnellinger rimane nove stagioni al Milan, con cui vince un Campionato, 3 Coppe Italia, 2 Coppe delle Coppe, una Coppa dei Campioni e una Coppa Intercontinentale.
Alla vigilia di Italia-Germania, si era anche diffusa una chiacchiera da bar (oggi si direbbe fake news) alla quale qualcuno aveva creduto; cioè che il Milan avesse negato alla Germania il permesso di schierare Schnellinger contro l’Italia, cosa del tutto assurda. Fatto sta che non solo gioca, ma addirittura segna. Ricordo anche il disappunto di Nando Martellini che sosteneva, a ragione, che l’arbitro Yamasaki avesse fatto proseguire la partita oltre il 90°. Oggi, con il recupero dichiarato, questo sarebbe normale, ma allora non era così e sicuramente molti telespettatori hanno inveito contro l’arbitro.
Ma se Schnellinger è stato protagonista da parte tedesca, chi è stato il nostro? Sicuramente uno che in campionato vestiva la stessa maglia: Gianni Rivera. In quel Mondiale il ‘Golden Boy’ non ha mai giocato una partita intera. All’inizio per motivi di salute, poi per la famigerata staffetta, della quale dopo cinquant’anni ancora non sa darsi una spiegazione.
Il suo momento, nel bene e nel male, è il minuto che intercorre fra il 3-3 tedesco e il nostro 4-3. Il pareggio tedesco avviene con una spizzata di testa di Muller, su una palla messa in mezzo all’area da Seeler. Sul colpo di testa di Muller, Rivera appostato su un palo, cerca di allungare il suo fianco verso la palla per metterla almeno in corner, ma non ci arriva. Quello che ottiene è una goffa lap-dance con il palo, oltre alle imprecazioni di Albertosi.
A quel punto, per placare il suo orgoglio ferito, Rivera avrebbe dovuto andare in porta da solo palla al piede, ma non era così facile. Trova però il modo di alimentare l’azione e va a posizionarsi nei pressi dell’area tedesca. Boninsegna riesce a trovare, non si sa come, la forza per scappare via a Willi Schulz, mette una palla in mezzo all’area e chi c’è appostato là? Gianni Rivera che incrocia di destro nell’angolo lasciato libero da Mayer che si tuffa sul palo opposto.
Eccolo il 4-3! Ecco la rivincita di Rivera, anche se non gli basterà per trovare un posto da titolare nella finale. E a questo proposito le parole pronunciate da Pelé suonano decisamente ironiche. ‘O Rey’ afferma in un’intervista alla vigilia della finale che il Mondiale lo vince l’Italia, perché se si può permettere di lasciare Rivera in panchina, vuol dire che in campo ci saranno undici fuoriclasse e per loro non ci sarà scampo. Peccato che i fuoriclasse li avessero loro; ben cinque in attacco e tutti in campo insieme.
Parlando ancora di protagonisti, non voglio dimenticare altri tre giocatori della Germania che in quella partita potevano essere determinanti per le loro sorti. Il primo è Gerd Muller, autore di due gol di rapina; il primo approfittando di un malinteso fra Albertosi e Poletti e il secondo con quella spizzata che abbiamo già ricordato.
Era il classico centravanti da area di rigore; dentro i sedici metri si esaltava e sapeva cogliere qualsiasi incertezza avversaria. Non era certo un ‘falso nueve’, ma un vero ‘nueve’. A fargli da spalla, in quella partita e non solo, il capitano Uwe Seeler. In entrambi i gol di Muller c’è il suo zampino, visto che mette la palla in mezzo di testa.
Come facesse a prenderle tutte di testa resta un mistero. Se notiamo la foto di inizio partita quando Seeler e Facchetti si scambiano la stretta di mano, notiamo una differenza di altezza quasi abissale. Eppure, il gioco di testa era una specialità della casa, segno che l’altezza può aiutare, ma non sempre è determinante. Infine, come non ricordare Franz Beckenbauer e i suoi supplementari giocati con una spalla lussata e fasciata? Per come gioca nessuno se ne accorge e un tale fuoriclasse può fare di tutto.
A mio modo di vedere, in quella partita si vede già quel carisma che l’avrebbe portato subito dopo a prendere le redini di una nazionale che nel giro di quattro anni sarebbe stata prima campione d’Europa, poi del Mondo. D’altra parte, si parla di uno dei migliori cinque giocatori della storia del calcio e questo non l’ho detto io, ma lo condivido pienamente. Vorrei poi spezzare una lancia a favore di Fabrizio Poletti. Il difensore del Torino entra all’inizio dei supplementari al posto di Rosato e quei trenta minuti costituiscono la sua intera esperienza mondiale.
Per anni gli è stata ingiustamente attribuita un’autorete sul 2-1 per la Germania, frutto di un’incomprensione fra lui e Albertosi, su una palla che sembrava innocua. In realtà il gol è di Muller che tocca dopo Poletti e prima che la palla varchi la linea di porta. Se ci fosse stato il Golden Gol, in quel momento la partita sarebbe terminata e il Mondiale avrebbe avuto un’altra finale. Forse in quel caso Poletti avrebbe pagato per anni quel suo errore, come il portiere brasiliano Barbosa, dopo i Mondiali del ’50.
Forse sarebbe stato bollato come quello che ci aveva fatto perdere la semifinale, ma per fortuna è andata diversamente, sebbene molte persone avrebbero risparmiato le coronarie, per quanto successo dopo. La stanchezza di Nando Martellini al termine di quella partita era la stanchezza di tutti noi. Ritengo che questa non sia solo una pagina di storia dello sport italiano, ma sia invece una pagina della storia d’Italia e per averla vissuta sono sicuro che mai come quella notte ci siamo sentiti così tanto italiani.
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