Italia ko contro il Portogallo, Conte se la prende con il passato
Di Emanuele SaccardoUna sconfitta che brucia, nonostante sia occorsa in amichevole. Una battuta d’arresto, la prima dell’Era Conte, che pesa e non poco: quel gol di Eder si traduce in declassamento. L’Italia, infatti, partirà dalla seconda fascia in vista dei gironi di qualificazione al Mondiale di Russia 2018. La partita contro il Portogallo orfano di Cristiano Ronaldo non rappresentava soltanto una vetrina per i giovani da lanciare o i campioni da ritrovare (leggi: El Shaarawy). Il match di ieri sera di fronte ai lusitani doveva e poteva essere l’appiglio giusto per tentare di fare la voce grossa alle urne, doveva e poteva diventare il gancio utile a confermare che il movimento calcistico di casa nostra è sì un bimbo in fasce, ma vivo e vegeto.
E invece no. Tutto come al solito, permeato dagli immancabili luoghi comuni italiani; a cominciare dallo scarica barile. Proprio il c.t. azzurro Antonio Conte si è lasciato scappare quel trito e ritrito: “Sarà colpa delle gestioni precedenti”, riferito al fatto di essere stati declassati. Probabile che abbia ragione lui, ma la domanda che sorge spontanea è: non sarà il caso di lasciar stare con puntualizzazioni inutili? No, perché ormai che la frittata è stata fatta, val la pena rimboccarsi le maniche per trovare il denaro utile a comprare uova fresche.
Vero è che Conte ci prova, ma i fattori (tradotto: i Presidenti dei Clubs) fanno spesso orecchie da mercante e le galline non le mollano. Stage che non si fanno, comunicazione a singhiozzo con le Società – cosa che talvolta si trasforma in scontro aperto -, presunte ripicche. Un quadro desolante nel quale l’Italia di Conte è riuscita comunque a rimanere imbattuta fino a ieri sera, e non è poca cosa (giova pure ricordare, anche se è brutta abitudine italica, l’elenco dei giocatori costretti in infermeria… ). Le due gare contro Croazia e Portogallo, tuttavia, hanno purtroppo messo in evidenza ancora una volta le difficoltà del pallone nostrano. Ranking Fifa e poco ossigeno da fine stagione a parte, il Belpaese del pallone può soltanto fare mea culpa.
Ci eravamo un po’ tutti illusi – finanche esaltati – per le gesta di Juventus, Napoli e Fiorentina nell’ultimo scorcio delle Coppe internazionali. Da queste pagine, a onor del vero, avevamo tentato di smorzare un filo gli entusiasmi: sì, ok, avevamo piazzato tre Clubs nelle semifinali europee, ma non si poteva nascondere la testa sotto la sabbia di fronte alle rose delle squadre. Italiani pochi, in alcuni casi pochissimi (la Fiorentina sembrava una succursale della Liga spagnola… ).
Fino a quando non si tornerà ad avere una vera e propria programmazione a partire dai settori giovanili (chiedete ad Arrigo Sacchi, tanto per dire), a promuovere i più meritevoli tra i ragazzi lasciandoli in pianta stabile in Prima Squadra, senza affossarli dopo una stagione o due andate storte, il calcio italiano non cambierà un granché. La ricetta è semplice, non servono ragionamenti astrusi sul bilancio, su minus e plusvalenze, su decreti spalma-debiti e compagnia cantando. Forse lo sa benissimo anche Conte, peccato davvero per la sua frase da italiano medio. Anche da lui deve ripartire la scalata al Mondo.
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