(S)profondo Roma, estasi (bianco)celeste: bagarre Champions
Di Emanuele SaccardoLa lotta per il secondo posto in campionato, come ampiamente ipotizzato, s’infiamma. Quella per lo scudetto, altrettanto prevedibilmente, si chiude qui. Ancora 11 gare da giocare, ancora 33 punti da assegnare: il sogno Champions League prende sempre più forma dalle parti di Formello (sponda Lazio, ovvio), l’idea tricolore dall’altra parte del Tevere assume definitivamente i contorni del miraggio. Nel mezzo una rincorsa da piazzamento diretto all’Europa più prestigiosa che include anche Sampdoria e Fiorentina, la prima giustiziere dei giallorossi e la seconda del povero Milan dell’accerchiato Inzaghi.
60′ De Silvestri , 78′ Muriel
Ormai in discussione non può che esserci anche Garcia. Il condottiero francese, idolo di tifoseria e dirigenza romaniste nella passata stagione (per aver rivitalizzato un ambiente mogio e privo di concrete ambizioni), oggi inizia a sentire i carboni ardenti da tempo piazzati e accesi sotto la sua panchina. Di per sé la terza sconfitta stagionale della Roma in campionato potrebbe sembrare troppo poco per giustificare i malumori, ma se ad essa si sommano i raccapriccianti 11 pareggi e le prestazioni abuliche dell’ultimo periodo, tutto diventa più comprensibile.
Lo 0-2 subìto dalla Sampdoria nel posticipo, ci dice che nelle ultime 5 gare la Roma ha raccolto la miseria di 4 punti (tutti contrassegnati da una x), ci conferma che in casa la paura è tanta (l’ultimo successo risale al 30 novembre 2014) e che i 3 punti mancano a Trigoria dalla spedizione di Cagliari a febbraio. Male, decisamente male. Rispetto alla stessa giornata della passata stagione, i giallorossi registrano un indifendibile -11 in graduatoria, contestualmente al +11 dei cugini – dettaglio che forse brucia di più rispetto al siderale -14 dalla Juventus.
Eppure contro la Samp (ora a sole 5 lunghezze dal secondo posto) la Roma si è dannata l’anima, ha cercato con veemenza la via del gol in più di una circostanza, specialmente con Gervinho. Sulla strada dell’ivoriano e dei compagni, però, un ispirato Viviano ha risposto “presente”. Come spesso accade nel calcio, al primo (o quasi) tentativo, l’ospite alle corde trova la via della rete. Non fanno eccezione le firme di De Silvestri e Muriel, una sorta di certificato sulla bontà del progetto blucerchiato e sull’annata no della Roma.
71′ e 78′ Felipe Anderson
In una battuta: chiedimi se sono Felipe. Pioli potrebbe aver voglia di scherzare, di spandere entusiasmo intorno a sé dopo la quinta vittoria consecutiva della sua bella Lazio. Invece no: il tecnico biancoceleste tiene i piedi per terra e la testa concentrata sul prossimo impegno, perché la stagione è ancora lunga e la Roma è ancora davanti. Parlare di secondo posto e quindi ingresso diretto in Champions, oggi però non è più un tabù. La Lazio ha da tempo trovato la quadra, vacillata solo nella sconfitta interna con il Genoa del 9 febbraio.
Curiosamente, in quel momento la Roma sembrava poter ritrovare l’autostima a margine del successo sul Cagliari. Al contrario in un mese e spiccioli è cambiato tutto: biancocelesti a rullo, 12 gol fatti e soltanto uno al passivo, un Anderson in più capace di risolvere le partite con classe e forza. La dimostrazione ennesima è arrivata all’Olimpico di Torino, dove contro i granata il brasiliano ha messo a segno una doppietta fondamentale; per lui (8 gol in stagione) e per la squadra (terzo posto in solitudine).
Curiosamente (di nuovo), il suo secondo timbro è giunto nello stesso istante in cui Muriel sanciva la resa della Roma. Un derby a distanza che potrebbe tenere vivo fino all’ultimo un torneo ormai blindato dalla Juventus, una stracittadina che per ora sembra sorridere soltanto alla Lazio.
56′ Destro (M), 83′ Rodriguez (F), 90′ Joaquin (F)
Paradosso: il miglior Milan del 2015 subisce la peggior sconfitta possibile. Inzaghi non sa più che pesci prendere, se non si sente abbandonato dal Club (che per ora, non solo a parole, continua a legittimare la sua presenza in panchina), sembra esserlo dalla squadra. E, ripetiamo, è un paradosso. Perché fino al minuto 83, i rossoneri avevano mostrato ordine e anche una certa freschezza nella manovra, nelle gambe, nelle ripartenze. Il vantaggio griffato Destro era giunto dopo una buona resistenza agli attacchi di una Fiorentina irriconoscibile, ben imbrigliata dalla tattica di Inzaghi, bravo a preparare il match trovando i punti deboli viola e sfruttandoli a proprio favore.
Ma la testa fa tutto. Già, lo sa bene la retroguardia del Milan: la convinzione o la paura spaccano vite, destini, figurarsi le partite di calcio. Se poi sopra quella testa che ha paura, che non sa gestire un vantaggio, spuntano le fronti di Rodriguez e Joaquin, allora siamo punto e a capo. Nello sport come in qualunque altra attività, serve un po’ di fortuna; ma dopo anni passati a prender gol da cross, calci d’angolo e palle inattive in genere, a guardare gli avversari incornare ed esultare, il Milan non può lamentarsi se la buona sorte gira lo sguardo altrove.
Né Ancelotti, né Allegri o Seedorf erano riusciti a porre rimedio a questa antica e nefasta tradizione. Inzaghi non fa eccezione e le due reti viola certificano una maledizione tutt’altro che al tramonto (nonché la conferma della Fiorentina come protagonista della bagarre Champions). Da troppo tempo urgono innovativi rimedi, chissà se Super Pippo saprà inventarsi qualcosa. O se toccherà, magari, a uno come Sarri…
CLASSIFICA:
Juventus 64, Roma 50, Lazio 49, Napoli 46, Sampdoria e Fiorentina 45, Inter e Genoa* 37, Torino 36, Palermo e Milan 35, Sassuolo, Verona e Udinese*32, Empoli 30, Chievo 29, Atalanta 25, Cagliari e Cesena 21, Parma**9.
* una gara in meno
** due gare in meno
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