Il Siviglia fa tris, Benfica ancora condannato da Guttmann

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Siviglia-festa-Europa-League-TorinoSiviglia – Benfica 0-0 (4-2 d.c.r.)

Ieri pomeriggio, incontrando per le strade di Torino alcuni gruppi di tifosi del Benfica, si potevano percepire due sentimenti distinti: la fondatissima paura di perdere, ancora una volta, dopo essere arrivati in fondo ad una competizione europea e la sensazione che le stramaledizioni di Bela Guttmann potessero finalmente venire esorcizzate. La speranza dei tifosi lusitani risiedeva tra il sacro e il profano, perché non pochi, guardandoti negli occhi con aria seria, erano sicuri che il recente trapasso di Eusebio (che di Guttmann fu l’alfiere di una delle due Coppe Campioni conquistate consecutivamente nel ’61 e nel ’62) avrebbe convinto lo storico allenatore ungherese volato in paradiso nel 1981 ad interrompere il suo influsso negativo da lassù.

Spesso le storie di sport si sono intrecciate al misticismo, sovente il segno della croce che gronda dalle tribune e fa capolino sul terreno di gioco è qualcosa in più che semplice scaramanzia, travalica il confine della Fede. E spesso non serve, talvolta non basta. Come è accaduto ieri sera allo Juventus Stadium, teatro della finale di Europa League 2014. Il Benfica, nonostante a Guttmann abbia dedicato una statua al Da Luz proprio ad inizio anno, è andato incontro al suo solito e crudele destino sportivo; dopo i sette peccati capitali già in archivio (le cinque finali di Champions perse più le due di Europa League), è arrivato l’ottavo. Il più doloroso, che fa rima con “squadra favorita”, che riapre la ferita aperta nel maggio 2013 dal Chelsea al minuto novantadue; che deprime un popolo colorato di rosso, sempre più in balia dell’anatema Guttmanniano vecchio di oltre mezzo secolo. “Senza di me il Benfica non vincerà più la Coppa dei Campioni e nessuna squadra portoghese, da qui a cento anni, sarà due volte campione d’Europa.” Così tuonava il tecnico all’indomani del suo divorzio dalle “Aquile di Lisbona” e, noi, aggiungiamo al suo verbo anche la Uefa, fatale per la terza volta ai rossi del Da Luz.

Sotto gli occhi di Conte (forse “gufo”, a seguito dell’eliminazione patita dal Benfica in semifinale), Montella e Spalletti, trionfa il Siviglia dopo la lotteria dei calci di rigore. E anche qui il destino ha voluto infierire sulle anime iper tartassate dei calciatori di Lisbona: un portoghese tra i pali, Beto, e un franco-portoghese che di mestiere fa l’attaccante, Gameiro, hanno fatto esultare il popolo andaluso condannando quello di Rui Costa e compagni. Due rigori parati per l’estremo difensore del Siviglia, penalty decisivo trasformato da Gameiro.

Le lacrime dei calciatori guidati da Jesus fanno naturalmente a pugni con la gioia spagnola, quasi inaspettata, per il grande miracolo compiuto. Terza Coppa Uefa sollevata al cielo (il Siviglia eguaglia così Inter, Liverpool e Juventus) e altro terno al lotto dal dischetto superato, dopo quello del derby con il Betis nei quarti di finale. La cavalcata degli andalusi è stata da attacco cardiaco, perché oltre alla stracittadina all’ultimo respiro, in semifinale Emery ha riacciuffato la qualificazione a tempo praticamente scaduto in casa del Valencia. E, certo, ieri sera non partiva con i favori del pronostico.

Eppure, al termine di un primo tempo soporifero e ostaggio del timore di scoprirsi da parte dei ventidue in campo, nei giocatori e nel popolo di marca sivigliana cresceva la consapevolezza di poter ripetere l’impresa del 2006 e 2007, in virtù della paura benfichista, impressa nei gesti sotto porta degli attaccanti di Jesus, incapaci di finalizzare la veemenza tecnica e fisica della ripresa. I supplementari sono stati semplicemente una lunga attesa, conclusasi con le parate decisive di Beto dagli undici metri.

Come nella finale Uefa vinta ai danni del Espanyol, il Siviglia trionfa ai calci di rigore e sancisce il dominio iberico in Europa per quanto riguarda la stagione in corso. A prescindere da come andrà la finale di Champions League, infatti, entrambi i trofei continentali resteranno in Spagna; ed anche la Supercoppa di agosto sarà affare tra club che parlano la lingua di Cervantes. Una ragione valida per riflettere pure sul calcio di casa nostra.


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