Quarti Champions, ritorno: CR7 avanza, Ibrahimovic resta
Di Emanuele SaccardoReal Madrid – Wolfsburg 3-0 (and. 0-2, tot. 3-2)
16′, 17′ e 76′ Cristiano Ronaldo
I numeri non mentono. Mai. Specie quando tiri in ballo uno dei giocatori più forti di sempre, un atleta nel vero senso della parola; un uomo con il dono di sapere cosa farne di un pallone da calcio nelle occasioni importanti. Cristiano Ronaldo, nella serata più difficile per il Madrid, quella in cui serviva la remuntada dopo il cocente 2-0 patito dal Wolfsburg nel match in Germania, si veste una volta ancora da super eroe. Lui è “real”, al pari di tutti gli altri uomini a disposizione di Zidane.
Sì, ma CR7 è proprio “real”, ogni pallone che tocca si trasforma in gol. Dicevamo dei numeri, dunque: rimonta completata grazie al 3-0 di ieri sera del Bernabeu. Un altro tris firmato Ronaldo, la quinta tripletta in Champions per lui (raggiunto Messi). Ma non solo questo: ora i gol in Coppa Campioni, per il portoghese, sono 94 (+11 sulla Pulce del Barcellona); in stagione sono 16 nel torneo (il record è 17, fissato manco a dirlo dallo stesso CR7 nel 2013-2014).
Può bastare? Eh no, perché il fuoriclasse di Madeira passa per la nona volta su nove i quarti di finale, accompagnando il Real Madrid alla sesta semifinale consecutiva. Basta? Per niente, visto che in 36 gare a eliminazione diretta in Champions Ronaldo ha segnato 34 gol e, ieri, ha raggiunto Del Piero riguardo a quelli siglati su punizione (11). Ciliegina sulla torta, il fenomeno lusitano ha marcato la doppietta più veloce nella storia dei quarti di finale di Coppa Campioni.
Ma il Real Madrid non è solo Ronaldo, ci mancherebbe. Se i Blancos hanno infilato la rimonta numero 23 in Europa, una ragione più ampia ci sarà. Se a Zidane è riuscito il mezzo miracolo di recuperare un 2-0 maturato all’andata nella competizione più prestigiosa del Continente (è appena la terza volta che qualcuno ci riesce su 16 precedenti), il merito è di tutto l’ambiente che ha saputo ricompattarsi dopo la batosta di una settima fa. Secondo noi ha avuto un bel peso anche l’aver recuperato 6 punti al Barcellona in campionato (da -10 a -4 in 2 giornate), ora riaperto e foriero di motivazioni extra per i Merengues. E non si può scordare che nella gara di ieri il Wolfsburg ha perduto troppo presto Draxler per infortunio, l’uomo che all’andata fece vedere le streghe alla fragile difesa madridista.
Insomma, la fortuna aiuta comunque gli audaci, come si dice. E il Real, di giocatori audaci, ne ha un bel po’. Uno su tutti parla portoghese e si è ufficialmente ricandidato per strappare il Pallone d’Oro alla sua storica nemesi argentina. Stasera Messi dovrà replicare contro l’Atletico, se non altro per mantenere vivo il sogno di poter vedere una finale tra Real e Barça sotto i riflettori di San Siro. Urna dei sorteggi permettendo.
Manchester City – Psg 1-0 (and. 2-2, tot. 3-2)
76′ De Bruyne
Siamo, purtroppo per Ibrahimovic, alla solita storia: quando il gioco (in Champions) si fa duro, i duri iniziano a giocare. Ma Ibra, che duro e tosto lo è per definizione, improvvisamente si paralizza come un novellino qualunque; finisce per patire l’aggressività dell’avversario di turno e sparisce – o quasi – dall’economia della gara da dentro o fuori. Morale della triste favola: in 13 anni di campagne europee con 6 maglie diverse, Zlatan Ibrahimovic la Coppa Campioni non l’ha mai nemmeno vista con il binocolo. Una sola volta ha potuto assaggiare le semifinali (con il Barcellona nel 2010), per il resto ha sempre salutato tra ottavi (4 volte) e quarti di finale (8).
Peggio di questo, per Ibrahimovic, c’è solo la consapevolezza che in 6 occasioni la squadra che lo ha mandato a casa è poi arrivata in finale, in 3 di queste l’ha anche vinta (la beffa totale proprio nel 2010, quando fu la sua ex Inter a sollevare il trofeo). Hai voglia a non chiamarla ossessione; hai voglia a dire pubblicamente che ti senti più giovane di quando avevi 20 anni; hai voglia a ricordare che, comunque, hai vinto in carriera 11 campionati in 4 Paesi differenti. La finestra temporale per riuscire a metter le mani sulla Coppa dalle grandi orecchie si restringe sempre di più. E, francamente, non può essere Parigi la piazza adatta. Ieri sera il return match contro il Manchester City lo ha dimostrato una volta di più.
Il calcio, si sa, è fatto di episodi: Ibrahimovic ha sulla coscienza il rigore sbagliato al Parco dei Principi e quella dannata traversa che gli ha impedito di certificare il 3-1. Sarebbe stata tutt’altra cosa ieri sera. Invece Zlatan se ne torna a casa con la memoria dell’inutile rete del momentaneo 1-1 di una settima fa e delle parate di Hart sulle sue violente punizioni. Nulla più di questo. Sulla sponda Citizens poteva esserci un rammarico simile per Aguero, reo di aver sprecato anch’egli un penalty calciandolo malissimo.
Ma la sorte aveva in serbo altri progetti per Pellegrini che, 10 anni dopo il primo miracolo alla guida del Villareal, ne materializza un altro mandando il City in semifinale di Champions per la prima volta nella sua storia. Così il derby degli sceicchi e dei petrodollari ha sorriso alla squadra che partiva con lo sfavore del pronostico: il Manchester arriva da una stagione in chiaro scuro (quarto posto in Premier e Capital One Cup in tasca), il Psg dalla quarta Ligue 1 di fila conquistata già da parecchio. Poi, però, deve parlare il campo e nell’economia della doppia sfida, al netto di grossolani errori da ambo le parti, il City ha meritato di entrare tra le migliori 4 del Continente. E vista la tradizione di Ibrahimovic, hai visto mai che Pellegrini non riesca anche a centrare la finale.
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