Javier Zanetti, uomo e nerazzurro infinito
Di Emanuele SaccardoQuando si racconta un personaggio come lui, la prima domanda è sempre la stessa: da dove si comincia? dall’inizio o dalla fine? oppure da un punto intermedio che si trasformi in trampolino per il futuro e passerella verso il passato? Non c’è una risposta giusta, non c’è neanche quella sbagliata, esiste solo una certezza: i personaggi come Javier Zanetti non hanno principio o tramonto.
Sono infiniti.
E l’infinito non lo puoi mica chiudere nella gabbia dei ricordi, non gli puoi dare un termine in ciò che verrà da qui in avanti. Eppure, a ben guardare, con la stessa delicatezza che ha contraddistinto l’intera carriera di Zanetti (e la sua vita di uomo), due punti ideali, una A e una B che uniscano l’inimitabile percorso del capitano nerazzurro, si possono raccontare. Immaginate un ragazzino di nove anni, gracile, che pesa forse venti chili – bagnato – intento a rincorrere un pallone in un campo improvvisato nel sobborgo Partido di Avellaneda, ai margini di Buenos Aires. Immaginate i piedi di quel ragazzino, avvolti in un paio di scarpe ricucite con sapienza operaia dal padre Rodolfo Ignacio: i soldi sono pochi, comprare scarpe nuove è impossibile. Immaginate il ragazzino che vince il suo primo trofeo con la maglia del Disneyland, la squadretta del quartiere.
Adesso guardate ancora il piccolo, troppo piccolo Javier che, con la maglia del Indipendiente, accarezza il sogno di un futuro da professionista; immaginate cosa potrà essergli passato per la mente quando a sedici anni la società decide di “tagliarlo” perché pesa quarantacinque chili – forse sempre da bagnato – e non supera il metro e cinquanta di altezza. Pensate ad un anno sabbatico, quello che Javier si prende e che occupa lavorando nei cantieri con il papà, l’eterno Rodolfo che è vera guida nell’esistenza di Zanetti. Ecco, magari durante un lavoro tanto faticoso il genitore avrà ripensato a quando il neonato Javier rischiò addirittura di morire per problemi respiratori, e se non ci fosse stato il dottor Aldemar chissà come sarebbe finita. Javier porta Aldemar nel cuore e nel secondo nome, chissà quante volte gli avranno raccontato di quel miracolo.
Eppure adesso l’adolescente Zanetti di fiato ne ha da vendere, altro che problemi respiratori: guardatelo mentre si fa muscoli e centimetri in cantiere, sembra abbia quattro polmoni. Osservatelo sollevare sacchi di cemento e ringraziare per la dieta a base di latte, lenticchie e ceci che un altro medico gli ha consigliato per mettere massa in un corpo da segaligno. Ora sognate con i suoi stessi occhi il ritorno al calcio grazie al Talleres, società che crede in lui e che gli fa firmare il primo contratto da professionista, togliendogli così l’obbligo di lavorare dalle quattro alle otto del mattino come “ragazzo del latte” e come postino per poter aiutare la famiglia. E ora…bé, ora Zanetti indossa la maglia del Banfield, con il quale esordisce in Primera Division e dal quale partirà la sua avventura più grande: il calcio europeo.
Bene, nel nostro raccontare un uomo infinito c’è un passaggio che apre una finestra sull’immediato futuro, perché domani saranno passati esattamente diciannove anni dal giorno in cui Massimo Moratti, neo presidente dell’Inter, ufficializza il suo primo acquisto: Javier Zanetti. Ma chi è? chi lo ha mai sentito? qualcuno lo ha visto giocare? Sembra di no, perché tutti aspettano l’altro acquisto, Rambert. Nel giugno del ’95, alla presentazione dei due neo interisti, la faccia pulita di Zanetti passa in secondo piano, così come nel luglio successivo, quando nel ritiro di Cavalese il semi sconosciuto Javier arriva da solo e con un sacchetto della spesa in mano.
Da quel giorno sono passati diciannove anni, appunto. Da quel giorno siamo arrivati all’epilogo della grande cavalcata di Zanetti, diventato nel frattempo El Tractor (grazie alla sagacia visionaria di Hugo Morales) e Pupi. Ma soprattutto, il capitano. Anzi, il Capitano. Nel mezzo ci sono stati sedici trofei con l’Inter (5 scudetti, 4 Coppe Italia e altrettante Supercoppe, una Uefa e una Champions, più un Mondiale per club), 857 gare con la maglia nerazzurra, il record di presenze per uno straniero in A (614 e 3 spareggi), 82 gare in Champions League, 137 gettoni consecutivi in campionato, 26 gol in carriera, 145 presenze con la Nazionale argentina e più di mille partite disputate. Adesso provate a immaginare cosa sarà passato nel cuore di Javier, durante il toccante discorso di sabato sera davanti al pubblico di San Siro, per la sua ultima volta tra le mura amiche.
Finisce il calciatore, va avanti l’uomo. Così hanno detto le sue labbra. L’uomo diventerà vicepresidente dell’amata Inter e lascerà le fasce, quella di capitano e quella di un campo dove ha seminato avversari e suonato la carica nei momenti difficili, ricordando fortemente il “quarto d’ora granata” di Valentino Mazzola. Zanetti ha detto che ora gli toccherà fare altro, che non sa se lo farà bene, ma che è certo di una cosa: difenderà sempre i colori nerazzurri. Non sappiamo realmente cosa gli sarà passato dal cuore in certi istanti, possiamo solo farcene un’idea riguardando i suoi occhi trasparenti; quel che è probabile è che tanti tifosi avranno rimpianto di non aver tifato Inter negli ultimi diciannove anni.
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