Totti campione infinito, Juventus campione d’inverno
Di Emanuele SaccardoPoche storie: a 38 anni (che diventeranno 39 a settembre) non è facile regalare ancora perle di indiscusso valore artistico su un campo di calcio. Specialmente in un derby. Ma se ti chiami Francesco Totti e da più di vent’anni hai abituato la platea romana – e non solo – a capolavori, giocate ai limiti dell’umano e carisma, beh, è più semplice spiegare la doppietta di ieri alla Lazio. Una doppietta che significa 11 centri in 40 stracittadine (record assoluto nella storia della Roma); una doppietta che ribadisce la genialità del Capitano giallorosso. Due gol che riacciuffano la macchina semi perfetta biancoceleste, scappata sul 2-0 nella prima frazione di gara per merito di uno straripante Felipe Anderson (gol e assist per Mauri) che legittima l’alta quota in classifica dei suoi.
Totti campione senza limiti, dunque – benché giustamente centellinato da Garcia, e quando è in campo si vede la differenza – ma la Juventus è campione d’inverno. Con un turno di anticipo Allegri e i suoi approfittano del mezzo stop della Roma per allungare a +3 grazie al successo di Napoli. Max è l’uomo giusto per sfatare i tabù: ci era riuscito con il Milan che al San Paolo non vinceva da 24 anni, lo ha rifatto alla guida della Juve che sotto il Vesuvio non raccoglieva i tre punti dal 2001, quindi “soltanto” da 14 anni. Il 3-1 con cui la banda bianconera ha liquidato l’entusiasmo post-Doha degli azzurri racconta di una squadra ancora non brillante (come per le altre pesa forse il richiamo di preparazione) ma coesa, capace di soffrire quando serve e di punire cinicamente quando ne ha l’opportunità. Se poi hai giocatori in grado di dipingere reti da galleria d’arte come Pogba e Vidal, non ci sono santi che tengano, nemmeno il Gennaro napoletano.
Non che Higuain e compagni abbiano dato granché filo da torcere alla Vecchia Signora, tutt’altro. Un centrocampo perennemente in inferiorità numerica ha permesso alla Juventus di avere la supremazia del gioco nonostante un Pirlo appannato (sua, comunque, la palla da calcio di punizione per il 2-1 griffato Caceres, ritornato al gol dopo più di due anni e in campo dopo 3 mesi). Le polveri bagnate dello stesso Pipita, la ormai sistematica scarsa vena di Hamsik e l’ingresso tardivo di Mertens hanno fatto il resto.
Il campionato è ancora lungo, ma pensare che il Napoli possa rientrare di prepotenza nella lotta scudetto o restare a testa alta nella bagarre per il terzo posto, è ad oggi etichettabile come impresa stoica. Lo hanno dimostrato i novanta minuti del posticipo e a poco servono le recriminazioni presidenziali per la rete in fuorigioco millimetrico di Caceres e il gol annullato per il contrasto fra Buffon e Koulibaly. Chi al contrario può legittimamente ipotizzare di scalare la classifica è la sponda nerazzurra del Naviglio milanese: l’Inter ha un girone intero per confermare quanto di buono visto nel primo tempo disputato a San Siro contro il Genoa.
Mancini va al tappeto per una fortuita pallonata di Andreolli e si rialza con il sorriso; è metafora delle intenzioni del tecnico jesino per la sua amata creatura. Il 3-1 al Grifone è figlio di una campagna acquisti invernale da sogno (accontentato sugli esterni con gli arrivi di Podolski e Shaqiri), del rimodellamento caratteriale e tattico di Guarin, della vena del gol ritrovata da Palacio e delle vacanze natalizie dedicate ad impiantare nelle teste del gruppo la sua idea di calcio. Il popolo nerazzurro spera. Se poi Mancini riuscisse anche a rinvigorire Vidic (al primo centro con la maglia dell’Inter) e Kuzmanovic, ricucendo magari anche lo strappo con Osvaldo, sarebbe dura per tutti contro di loro. Il Mancio continua a ripetere che c’è tempo: già, ce n’è. Per mettere nel mirino il terzo e insperato posto, ce n’è.
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