La “231” nel calcio e le conseguenze di una nuova calciopoli

Di
giustizia sportiva

Le società che operano nel nostro calcio rientrano nella definizione di “enti”, di cui all’art. 1 D. Lgs. 231/2001 e possono quindi incorrere in una responsabilità da reato, di cui allo stesso Decreto.

Il “Decreto 231” stabilisce che, qualora vengano commessi nell’ambito di una società uno o più reati tra quelli richiamati dallo stesso, questa possa essere condannata, all’esito di un vero e proprio procedimento penale, a sanzioni pecuniarie ed interdittive, sempre che l’illecito sia commesso nell’interesse o a vantaggio della società e che questa non abbia adottato i necessari strumenti preventivi che lo stesso decreto prescrive.

I principali strumenti preventivi individuati dal D. Lgs. 231/2001 sono essenzialmente due: (i) la predisposizione di un adeguato ed effettivo modello di organizzazione, gestione e controllo, vale a dire, per i profani del diritto, una sorta di “regolamento aziendale” nell’ambito del quale vengono individuate le possibili aree ed attività della società nel cui ambito potrebbero essere commessi i reati richiamati dal “Decreto 231” e vengono specificati principi e procedure che i collaboratori della società dovranno rispettare, tutto al fine di prevenire una responsabilità per la società; (ii) l’istituzione all’interno della compagine sociale di un Organismo di Vigilanza, cioè un organo societario autonomo dagli altri che ha il compito di vigilare sulla corretta attuazione del modello di organizzazione, gestione e controllo e di suggerire eventuali modifiche dello stesso, alla luce della sopravvenienza di nuove esigenze preventive.

I reati per i quali una società, comprese quelle calcistiche, potrebbe andare incontro ad una responsabilità ai sensi del D. Lgs. 231/2001 sono molteplici ed eterogenei, ma comunque individuati dal legislatore proprio perché, nella maggior parte dei casi, essi possono verificarsi in un contesto aziendale. Tra di essi vi sono i reati contro la Pubblica Amministrazione, come la corruzione, e quelli societari, come il “falso in bilancio” e la corruzione tra privati. Di grande rilievo risultano anche i reati di lesioni o omicidio colposo, come conseguenza della violazione delle norme in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro di cui al D. Lgs. 81/2008, e quelli di riciclaggio e di impiego di lavoratori extracomunitari il cui soggiorno sia irregolare.

Ciascuno dei reati richiamati potrebbe essere commesso anche nell’ambito di una società di calcio.

Per questa ragione già da tempo le principali società del “pallone nostrano” si sono munite di appositi modelli di organizzazione, gestione e controllo, o anche solo “Modelli 231”, e presentano al loro interno gli organismi di vigilanza, ai quali vengono chiamati a partecipare importanti professionisti del panorama legale italiano.

E’ noto che a spingere il nostro calcio ad adeguarsi a questa normativa del 2001 non è stata la vigenza della stessa o la minaccia delle sanzioni che prevede, bensì quanto accaduto in seguito a “Calciopoli”.

La prima a divenire “Compliant” rispetto al D. Lgs. 231/2001 è stata la Juventus che, subito dopo lo scandalo scoppiato nell’estate del 2006, ha adottato un Modello 231, valutato positivamente dalla Camera Arbitrale del Coni che nel lodo arbitrale del 27.10.2006 ha ridotto alla squadra all’ombra della mole la penalizzazione da 17 punti a 9, da scontare nel campionato di serie B 2006/2007, proprio in ragione della soddisfacente adozione da parte di questa del Modello 231[1].

Successivamente, anche le altre “big” del nostro calcio hanno provveduto nella stessa direzione, anche perché le leghe e, più in generale, le istituzioni sportive, hanno promosso energicamente la realizzazione della “Compliance 231” nel pallone nostrano.

Adesso, però, è stato fatto un passo ulteriore.

Con la L. 39/2019 è stata inserita nel D. Lgs. 231/2001 una nuova categoria di reati all’art. 25 quaterdecies: quelli di frode in competizioni sportive o di scommessa e giochi d’azzardo a mezzo di apparecchi vietati, previsti dagli artt. 1 e 4 della L. 13 dicembre 1989 n. 401.

E’ da considerarsi frode in competizioni sportive, o più semplicemente frode sportiva, la condotta di chi offra o prometta denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal CONI, dall’UNIRE o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione.

Tutti gli appassionati di calcio ricordano tristemente questo reato, presente nel panorama penale fin dal 1989, in quanto grande protagonista dei processi penali che hanno avuto luogo nei confronti degli artefici di “Calciopoli”.

Adesso, a distanza di tredici anni, il legislatore ha compreso che questa fattispecie penalistica deve essere oggetto di prevenzione nel nostro sport, ma soprattutto nel calcio, ed ha “ordinato” che tutte le nostre squadre provvedano a munirsi di un Modello 231 in grado di scongiurarne la commissione.

Le fattispecie sopra descritte sono state quindi inserite dal legislatore nella categoria dei reati presupposto per la responsabilità di cui all’art. D. Lgs. 231/2001, prevedendole all’art. 25 quaterdecies.

Viene così stabilito che, in caso di commissione dei reati sopra richiamati per interesse o vantaggio di un ente, come una società calcistica, quest’ultimo possa ricevere una sanzione pecuniaria fino a euro 774.500,00 ed una sanzione interdittiva non inferiore ad un anno.

Riguardo la sanzione pecuniaria c’è da dire che, rispetto al mondo del calcio, essa può risultare significativa, dunque in grado di spaventare gli addetti ai lavori, solo qualora la squadra coinvolta partecipi a campionati minori. Solo in questo caso, infatti, la somma di euro 774.500,00 potrebbe risultare elevata e tale da porre in pericolo la solidità economica della società.

Può dunque sembrare che il legislatore, a cui è certamente nota la “ricchezza” delle nostre società calcistiche, non abbia voluto indurre il nostro pallone a non frodare le competizioni sportive attraverso la minaccia di una sanzione economica. Questo almeno fino alla Lega Pro.

Molto più pericolosa, questa volta a qualunque livello, potrebbe risultare la minaccia di una sanzione interdittiva.

Ai sensi dell’art. 9 comma 2 D. Lgs. 231/2001 le sanzioni interdittive che possono conseguire ad una condanna sono: (i) interdizione dall’esercizio dell’attività svolta dalla società; (ii) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; (iii) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; (iv) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; (v) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Quella che maggiormente potrebbe trovare applicazione ed arrecare notevole danno potrebbe essere la sospensione dall’attività svolta dalla società.

Una società calcistica che venisse condannata a tale sanzione, che come stabilito dall’art.25 queterdecies, dovrebbe durare per almeno un anno, non potrebbe svolgere l’attività di cui al proprio oggetto sociale, ovvero partecipare alle competizioni sportive. La società, quindi, non potrebbe iscriversi al campionato a cui dovrebbe partecipare secondo i risultati sportivi dell’anno precedente.

L’art 52 comma 10 del N.O.I.F.[2] così stabilisce: “In caso di non ammissione al campionato di Serie A, Serie B e di Serie C il Presidente Federale, d’intesa con il Presidente della LND, previo parere della Commissione all’uopo istituita, potrà consentire alla città della società non ammessa di partecipare con una propria società ad un Campionato della LND, anche in soprannumero, purché la stessa società:

a) adempia alle prescrizioni previste dal singolo Comitato per l’iscrizione al Campionato;

b) non abbia soci e/o amministratori che abbiano ricoperto, negli ultimi 5 anni, il ruolo di socio, di amministratore e/o di dirigente con poteri di rappresentanza nell’ambito federale, in società destinatarie di provvedimenti di esclusione dal campionato di competenza o di revoca dell’affiliazione dalla FIGC”.

Può quindi affermarsi che una “big” del nostro calcio, come potrebbe essere la Juventus, protagonista dello scandalo del 2006, all’esito di una condanna ai sensi del D. Lgs. 231/2001 potrebbe ritrovarsi a giocare in serie D![3]

In questo modo il legislatore ha certamente maggiorato l’impellenza per qualunque società sportiva, con particolare riferimento a quelle del nostro calcio, di dotarsi al più presto, ove non lo avesse già fatto per prevenire la commissione anche degli altri reati previsti dal d. Lgs. 231/2001, di un Modello 231 e di un Organismo di Vigilanza deputato a vigilare sulla corretta attuazione del primo.

Tuttavia, non può escludersi che fatti come quelli di “Calciopoli” possano ripetersi. Del resto, quando nel mese di maggio del 2006 ci svegliammo con la pietra dello scandalo sbattuta in prima pagina più di qualcuno affermò: “non è mica la prima volta e non sarà l’ultima”.

Queste cose, purtroppo, succedono.

E poi, la vigenza del nostro Codice Penale, che stabilisce la minaccia di una pena (soprattutto detentiva), non ha portato e non porterà mai alla totale mancanza di reati nella penisola!

Oltre all’introduzione di sanzioni “penali” serviva dunque una regolamentazione del sistema di giustizia sportiva, affinché questa divenisse maggiormente vicina e coerente con l’ordinamento penale.

E’ noto, soprattutto in ragione di quanto accaduto ai tempi di “Calciopoli”, che la giustizia penale in ambito sportivo vive in parallelo con quella sportiva, notoriamente più veloce e con regole processuali meno garantiste e più portate ad un accertamento sommario dei fatti.

L’aspetto più difficile da digerire della giustizia sportiva nel confronto con il sistema penale è l’odioso riconoscimento di una responsabilità oggettiva in capo alla società per la condotta illecita tenuta da un proprio esponente. Questo “dogma” della giustizia sportiva risulta totalmente in contrasto con il principio di attribuzione di responsabilità in ambito penale, ove una condanna può conseguire solo al riconoscimento di rimproverabilità del soggetto sottoposto a processo.

Solo attraverso un intervento sulla normativa sportiva che cercasse di rimediare a queste criticità si sarebbe potuto evitare, non diversamente che per qualunque cittadino di cui si vuole prevenire che commetta o ri-commetta reati, che le sanzioni della parallela giustizia sportiva assumessero un effetto criminogeno.

Si vuole dire che una società calcistica, magari di primo livello, che venga retrocessa in serie B dalla giustizia sportiva a causa del comportamento in frode allo sport di un proprio dirigente, che magari abbia agito in spregio alle opinioni di altri esponenti della società, e che, qualche anno dopo, venga prosciolta da ogni accusa nel processo celebrato ai sensi del D. Lgs. 231/2001, potrebbe, portare a percepire come ingiuste la sanzioni precedentemente ricevute. Ulteriormente potrebbero essere considerati ingiusti i danni, soprattutto di carattere economico e magari irrimediabili, ricevuti in conseguenza del primo responso da parte della giustizia sportiva.

Non è follia pensare che una situazione come questa faccia perdere definitivamente credibilità al sistema da parte di quelle persone che, più di chiunque altro, permettono che il nostro sistema calcistico resti in piedi e proliferi: i tifosi!

Ecco allora forse perché la riforma operata con l’introduzione del nuovo art. 25 quaterdecies D. Lgs. 231/2001 è stata accompagnata da alcune rivoluzionarie novità previste all’interno del nuovo Codice di Giustizia Sportiva, entrato in vigore lo scorso 12 giugno con deliberazione n. 258 dell’11 giugno 2019 dalla Giunta Nazionale del C.O.N.I., ai sensi dell’art. 7, comma 5, lett. l) dello Statuto C.O.N.I.

L’art. 7 del nuovo Codice così dispone: “Al fine di escludere o attenuare la responsabilità della società di cui all’art. 6, così come anche prevista e richiamata nel Codice, il giudice valuta la adozione, l’idoneità, l’efficacia e l’effettivo funzionamento del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui all’art. 7, comma 5 dello Statuto”.

Può quindi presentare efficacia esimente rispetto alla commissione di illeciti sportivi l’adozione da parte di una società calcistica di un modello di organizzazione, gestione e controllo che presenti le seguenti peculiarità:

– misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività sportiva nel rispetto della legge e dell’ordinamento sportivo, nonché a rilevare tempestivamente situazioni di rischio;
– l’adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali sia di tipo amministrativo che di tipo tecnico-sportivo, nonché di adeguati meccanismi di controllo;
– l’adozione di un incisivo sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;
– la nomina di un organismo di garanzia, composto da persone di massima indipendenza e professionalità e dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, incaricato di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento[4].

Il nuovo Codice di Giustizia Sportiva, dunque, per spingere ulteriormente le società a dotarsi di adeguati strumenti preventivi, apre alla possibilità di un possibile proscioglimento, qualora venga dimostrato che la società abbia “fatto tutto il possibile”, attraverso gli strumenti della compliance 231, per prevenire la commissione dell’illecito.

Inoltre l’art. 3 comma 3 del Codice così stabilisce: “Fermo restando quanto previsto dall’art. 39 del Codice CONI[5], vi è autonomia dell’ordinamento federale nella qualificazione dei fatti ai fini disciplinari e autonomia degli organi di giustizia sportiva nella definizione dei giudizi, indipendentemente dai procedimenti innanzi alla autorità giudiziaria ordinaria”.

L’Art. 39 del Codice CONI stabilisce che il Giudicato penale debba avere effetto anche sui giudizi disciplinari attinenti la materia sportiva, per quanto concerne l’accertamento del fatto illecito e l’attribuzione dello stesso a colui il quale sia sottoposto anche allo stesso procedimento disciplinare.

Anche nel Codice di Giustizia Sportiva si riscontra una norma che afferma la prevalenza del giudicato penale anche per la giustizia sportiva: l’art. 111[6].

Infine, l’art. 129 del nuovo Codice di Giustizia sportiva, nel disciplinare i rapporti tra gli organi della giustizia sportiva e la magistratura ordinaria, stabilisce l’obbligo di reciproca collaborazione tra di essi, affinché, soprattutto in fase di indagine, possa verificarsi un’attività investigativa e di successiva imputazione coordinata e, nei limiti del possibile, parallela anche a livello temporale[7].

Ciò significa che, in caso di notizia di illecito sportivo/frode sportiva, la Procura Federale e la Procura della Repubblica competente dovrebbero collaborare reciprocamente e rimanere negli stessi tempi, dal momento che alla seconda sarebbe demandata la valutazione di effettività ed idoneità del modello organizzativo adottato dalla società calcistica, che sarebbe poi trasmessa alla prima per permetterle di decidere se procedere o archiviare la posizione della società a seconda delle valutazioni dell’esponente della Procura della Repubblica.

Dovrebbe essere quindi la valutazione dell’organo giudicante della Magistratura ordinaria, operata secondo il principio di “Responsabilità soggettiva” a portare quella sportiva a decidere, in sede di giudizio, per l’applicazione dell’attenuante o esimente di cui all’art. 7 del Codice di Giustizia Sportiva o meno.

Ecco allora che, in caso di una nuova “Calciopoli”, soprattutto alla luce del fatto che la maggior parte del nostro calcio ha già adempiuto alle disposizioni del D. Lgs. 231/2001 e chi non lo ha fatto provvederà, potrebbero esserci esiti del tutto diversi.

In particolare, qualora un dirigente, violando, incolpevolmente per la società, la regolamentazione interna del Modello 231 e agendo allo scuro dell’Organismo di Vigilanza, che pure abbia fatto tutto il possibile, commetta il reato di frode sportiva, il Pubblico Ministero, dopo attenta analisi, potrebbe ritenere idonei a prevenire la frode sportiva sia il Modello 231 adottato dalla società sia tutte le misure connesse ad esso. Conseguentemente, potrebbe archiviare la posizione della stessa società e la giustizia sportiva sarebbe portata a fare la stessa cosa.

In conclusione, all’epoca di “Calciopoli” le principali attrici della tragedia (soprattutto per i tifosi) che andò a consumarsi non avevano adempiuto a quanto prescritto dal D. Lgs. 231/2001. Esse non avevano regolamentazioni interne in grado di prevenire la commissione di reati al loro interno, come richiesto dalla normativa che, comunque, già dal 2001 si rivolgeva anche a loro. Se però proviamo a immaginare che la vicenda ai giorni nostri, ove tutte le predette attrici hanno il Modello 231 e sussiste la vigenza del nuovo art. 25 terdecies e del recente Codice di Giustizia Sportiva, a parere di chi scrive, la Juventus non sarebbe stata retrocessa in serie B, potendo gli alti dirigenti coinvolti avere agito aggirando il sistema preventivo, idoneo a prevenire il prevedibile ma non l’imprevedibile.

Articolo realizzato dall Avv. Nadia Mungari


[1] Si riportano alcuni punti del lodo arbitrale del 27.10.2006 della Camera di Conciliazione del Coni, all’esito del procedimento n. 1336 del 06.09.2006, che vedeva come parti contrapposte la FIGC e la Juventus: […] che, tuttavia, ai fini della commisurazione “equa” della sanzione, oltre ai criteri già considerati dalla Corte federale, ritiene il Collegio Arbitrale che sia necessario valorizzare anche ulteriori elementi che attengono al

comportamento della società successivamente all’illecito; in particolare, che la Juventus F.C. s.p.a. si è adoperata per eliminare la possibilità di reiterazioni dell’illecito , revocando i poteri agli amministratori coinvolti e sostituendo integralmente il consiglio di amministrazione, adottando un codice etico e, soprattutto, un modello organizzativo idoneo a prevenire illeciti sportivi […] che quanto da ultimo rilevato vada apprezzato sul piano del trattamento sanzionatorio, in applicazione analogica della disciplina sulla responsabilità delle persone giuridiche (d.lvo 8 giugno 2001, n. 231), secondo cui allo scopo di determinare l’entità della sanzione, deve farsi riferimento non solo alla gravità del fatto e al grado di responsabilità dell’ente, ma anche all’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti […] che, dunque, le sanzioni inflitte alla Juventus F.C. s.p.a. in relazione alle

stagioni 2004-2005 e 2005-2006 devono ritenersi proporzionate alla gravità delle responsabilità accertate, in considerazione della loro notevole afflittività sul piano economico e del pregiudizio da esse arrecato sul piano sportivo […]che la sanzione inflitta alla Juventus F.C. s.p.a. per la stagione sportiva 2006-2007 deve invece rideterminarsi e fissarsi in punti 9, in considerazione degli elementi sopra indicati, traducendosi in una riduzione della stessa in una misura tale da mantenere, in misura adeguata, la sua funzione monitoria in relazione all’andamento “storico” dei campionati di Serie B […]”.

[2] Norme organizzative Interne F. I. G. C.

[3] Magari con una denominazione diversa, come in un noto videogame di recente produzione.

[4] Queste sono le peculiarità che il modello organizzativo deve avere, secondo quanto disposto dall’art. 7 comma 5 dello statuto della FIGC.

[5] La norma citata così stabilisce: “Art. 39 – Efficacia della sentenza dell’autorità giudiziaria nei giudizi disciplinari

1. Davanti agli organi di giustizia la sentenza penale irrevocabile di condanna, anche quando non pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso.

2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta delle parti.

3. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare nei confronti dell’imputato quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, ferma restando l’autonoma dell’ordinamento sportivo nella definizione della fattispecie e nella qualificazione del fatto.

4. L’efficacia di cui ai commi 1 e 3 si estende agli altri giudizi in cui si controverte intorno a illeciti il cui accertamento dipende da quello degli stessi fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale nei confronti dell’incolpato.

5. In ogni caso hanno efficacia nei giudizi disciplinari le sentenze non più impugnabili che rigettano la querela di falso o accertano la falsità di un documento ovvero che pronunciano sull’istanza di verificazione.

6. Fuori dei limiti di cui ai precedenti commi, gli organi di giustizia non sono soggetti all’autorità di altra sentenza, che non costituisca cosa giudicata tra le stesse parti; essi conoscono di ogni questione pregiudiziale o incidentale, pur quando riservata per legge all’Autorità giudiziaria, la cui risoluzione sia rilevante per pronunciare sull’oggetto della domanda, incluse le questioni relative alla capacità di stare in giudizio e all’incidente di falso.

7. In nessun caso è ammessa la sospensione del procedimento salvo che, per legge, debba essere decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale di merito e la relativa causa sia stata già proposta davanti all’Autorità giudiziaria”.

[6] Art. 111 Codice di Giustizia Sportiva: “Efficacia della sentenza dell’autorità giudiziaria nei giudizi disciplinari”
“1. Davanti agli organi di giustizia la sentenza penale irrevocabile di condanna, anche quando non pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta delle parti.
3. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare nei confronti dell’imputato quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, ferma restando l’autonomia dell’ordinamento sportivo nella definizione della fattispecie e nella qualificazione del fatto.
4. L’efficacia di cui ai commi 1 e 3 si estende agli altri giudizi in cui si controverte intorno a illeciti il cui accertamento dipende da quello degli stessi fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale nei confronti dell’incolpato.
5. In ogni caso, hanno efficacia nei giudizi disciplinari le sentenze non più impugnabili che rigettano la querela di falso o accertano la falsità di un documento ovvero che pronunciano sull’istanza di verificazione.
6. Fuori dei limiti di cui ai precedenti commi, gli organi di giustizia non sono soggetti all’autorità di altra sentenza che non costituisca cosa giudicata tra le stesse parti; essi conoscono di ogni questione pregiudiziale o incidentale, pur quando riservata per legge all’Autorità giudiziaria, la cui risoluzione sia rilevante per pronunciare sull’oggetto della domanda.
7. In nessun caso è ammessa la sospensione del procedimento salvo che, per legge, debba essere decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale di merito e la relativa causa sia stata già proposta davanti all’Autorità giudiziaria
”.

[7] Art. 129 Codice di Giustizia Sportiva “Rapporti con l’Autorità giudiziaria”
Il Procuratore federale, se durante le indagini prende notizia di fatti rilevanti anche per l’Ufficio del Pubblico ministero, trasmette senza indugio copia degli atti al Presidente federale affinché questi informi l’Autorità giudiziaria competente ovvero vi provvede direttamente.
Qualora la Procura della Repubblica trasmetta risultanze del procedimento penale al Procuratore federale, gli atti e documenti trasmessi sono da lui tenuti nel debito riserbo consentito da ciascuna fase del procedimento.
Qualora il Procuratore federale ritenga che, presso l’Ufficio del Pubblico ministero ovvero altre autorità giudiziarie dello Stato, siano stati formati atti o raccolti documenti rilevanti per lo svolgimento delle proprie attribuzioni, ne richiede l’acquisizione direttamente o per il tramite della Procura generale dello sport.
La Procura generale dello sport può comunque richiedere l’acquisizione di detti atti o documenti per l’esercizio delle specifiche attribuzioni del Codice CONI. In caso di accoglimento della richiesta, il Procuratore generale dello sport trasmette copia degli atti e dei documenti ricevuti al Procuratore federale
”.


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