E la Germania “Klose” la porta in faccia al Brasile: 7-1!

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Scolari-preso-in-giroBrasile – Germania 1-7 (o-5)

11′ Mueller (G), 23′ Klose (G), 24′ e 26′ Kroos (G), 29′ Khedira (G), 69′ e 79′ Schuerrle (G), 90′ Oscar (B)

Cinque gol in diciotto minuti. Poi altri due, tanto per gradire, nell’arco del secondo tempo. Allo scoccare definitivo della tragedia sportiva, la rete della bandiera firmata Oscar. Come fosse stato un match al livello basico di un videogioco, come se il controller di uno dei contendenti fosse stato spento o difettoso. Sette schiaffi, a bruciapelo, quasi surreali; che a confronto il Maracanazo del ’50 è un dolce ricordo d’infanzia. Da Rio de Janeiro a Belo Horizonte, da Barbosa a Julio Cesar: nel mezzo sessantaquattro anni e le stesse lacrime, quelle di un popolo intero già vessato dall’iniquità politica ed economica.

Dall’Uruguay alla Germania, dalla rete di Ghiggia a 11′ dal termine a quella di Mueller dopo 11′ dall’inizio, il passo è tutt’altro che breve: una goccia di speranza alla volta a scandire l’attesa, il Brasile che sogna per più di sei decenni una rivincita sportiva e sociale dalle molteplici sfaccettature. Tutto incenerito, ieri sera, dallo strapotere dei panzer tedeschi; tutto all’aria in diciotto minuti. Dalla fin troppo facile marcatura di Mueller (5 timbri sino a qui, eguagliato il record personale di Sudafrica 2010) alla stoccata sontuosa dell’ispirato Khedira che firma la cinquina del primo tempo, passando per la doppietta di Kroos e, soprattutto, dal sedicesimo gol mondiale di Klose (superato proprio il verdeoro Ronaldo, fermo a quindici). Se dopo il vantaggio tedesco, infatti, il già fragile impianto brasiliano segnava pericolosamente la riserva nel serbatoio dell’autostima, la rete dell’attaccante laziale ha rappresentato il colpo di grazia.

I calciatori della Seleção tornano improvvisamente scolari, con la minuscola. E minuscolo diventa anche Scolari, il c.t. che si è assunto ogni responsabilità per la peggiore sconfitta che il calcio brasiliano ricordi – e che ricorderà fino alla fine dei propri giorni. Il popolo, tuttavia, dopo essere passato dalle lacrime di sconforto alla rabbia più cieca, pare non voler porre sull’altare del sacrificio soltanto l’allenatore di origine veneta. Sin dall’avvio del torneo la critica è stata unanime nel prendere di mira soprattutto Fred, centravanti tutt’altro che scarso in Patria ma, evidentemente, inadeguato al giro della Nazionale. Anche se a fare impallidire i numeri di Pelé ci ha pensato il parco attaccanti tutto: escluso Neymar – peraltro assente causa infortunio insieme allo squalificato Thiago Silva – il reparto offensivo del Brasile ha prodotto complessivamente una rete in più del solo Luiz (2), professione difensore. Troppo poco per avere ragione di un avversario “serio” come la Germania. Troppo Neymar-Silva dipendente, il Brasile, per non incappare in titoli giornalistici come “Vexame dos Vexames”, la vessazione delle vessazioni (Globoesporte), e “Vai tu all’inferno, Felipe” (Journais), verso ripreso dal quotidiano per schernire Scolari, che così aveva apostrofato alcuni cronisti qualche giorno fa.

E veniamo dunque agli elogi per la prima finalista del Mondiale. Se il Brasile è stato sconfitto tra le mura amiche dopo la bellezza di trentanove anni (datato 1975 l’ultimo scivolone interno), non è solo colpa di una pressione ossessiva gravante sulle spalle dei giocatori – “annusata” dopo le lacrime di Julio Cesar a margine dei rigori con il Cile e confermata dalla presenza di una psicologa prima del quarto contro la Colombia. Nel 7-1 di ieri c’è tanto merito della Mannschaft di Joaquim Loew: la sua creatura non fa prigionieri, passeggia su tutto quello che incontra grazie ad un centrocampo stellare in grado di tenere sempre in mano bacchetta e spartito. K-K-K (no, non pensate male), cioè Klose-Khedira-Kroos, coadiuvati da Mueller e protetti dallo strepitoso Neuer tra i pali (anche contro il Brasile ha mostrato stile da hockeysta nel neutralizzare le incursioni avversarie), hanno fatto impallidire la tripla di Rossi del Mundial ’82 e la doppia di Zidane del ’98.

Non è un caso che la Germania abbia centrato l’ottava finale della sua storia in un Mondiale – su un totale di venti edizioni, scusate se è poco: dietro c’è un progetto lungo dodici anni, iniziato dalla sconfitta e unico precedente iridato contro il Brasile. Dal 2-0 di Yokohama (che costò il titolo ai tedeschi) ad oggi, con la sola eccezione all’Europeo del 2004,  la Germania è sempre stata protagonista, se vogliamo una meravigliosa incompiuta che ricorda con nostalgia l’ultimo successo vecchio di quasi due decenni (Euro 1996). Oggi, dopo un’attesa di dodici anni, i tifosi tedeschi sono autorizzati a sognare in grande. Olanda o Argentina permettendo.


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