Atletico Madrid in finale, Guardiola stecca ancora
Di Emanuele SaccardoBayern Monaco – Atletico Madrid 2-1 (and. 0-1, tot. 2-2, qual. Atletico per maggior numero reti in trasferta)
31′ Xabi Alonso (B), 53′ Griezmann (A), 74′ Lewandowski (B)
E niente: Guardiola proprio non ce la fa. Perlomeno non ce la fa più a superare lo scoglio delle semifinali Champions. Sta diventando una sorta di maledizione, senza dubbio lo è da quando Pep siede sulla panchina del Bayern Monaco: 3 tentativi tutti a vuoto, stoppati sempre al penultimo atto della competizione e sempre da squadre spagnole. Una beffa per lui che è iberico di nascita. Una super beffa, dal momento che il prossimo anno non avrà l’opportunità di tentare ancora. Guardiola è da tempo promesso sposo del Manchester City (che potrebbe ancora vincere la Coppa, previa autorizzazione del Real Madrid questa sera) e al suo posto arriverà il riposatissimo Carlo Ancelotti.
Quest’anno è toccato all’Atletico Madrid far festa, dopo che nelle 2 passate stagioni era stato privilegio di Real e Barcellona. In totale Guardiola è uscito 4 volte in semifinale, se si aggiunge anche il capolavoro di Mourinho del 2010 con l’Inter. Quando Pep ha detto addio alla Champions, chi lo ha superato ha poi alzato il trofeo. I tifosi dell’Atletico Madrid stanno già facendo i debiti scongiuri, ovviamente. Resta comunque il fatto che in 8 anni Guardiola è sempre arrivato almeno tra le prime 4 regine d’Europa, e tenendo in considerazione che un anno è stato a riposo, beh, non c’è che dire: ci sa fare.
Ma non è bastato, non basta e non basterà. In Baviera pretendevano di più dopo il triplete d’addio di Heynckes. Servono a poco i titoli di Bundesliga o i complimenti di Paul Breitner, leggenda del calcio tedesco, che incensa Guardiola (“Ha cambiato il modo di pensare di tutto il Bayern Monaco”). No, non basta: in finale ci va l’arcigno Atletico Madrid del Cholo Simeone, quasi una nemesi del tecnico catalano, sicuramente la sua antitesi calcistica. Filosofie a confronto: Pep, il teorico del possesso palla e del bel gioco, contro Diego Pablo, fautore del cuore oltre l’ostacolo, delle ripartenze aggressive in contropiede e del sacrificio collettivo.
Hanno ragione in tanti a dire che all’appuntamento di Milano ci arriva la squadra meno forte tra Atletico Madrid e Bayern Monaco. Vero, verissimo per quello che si è visto nella doppia sfida e soprattutto per l’andamento della gara dell’Allianz Arena. Poi, però, a conti fatti resta che a San Siro arriva la compagine che meglio ha saputo interpretare le diverse fasi dei match, che meglio è riuscita a gestire il dispendio fisico. A suo modo le 2 finali in 3 anni conquistate dall’Atletico Madrid sembrano ancora più incredibili della Premier vinta dal Leicester.
La gara di ieri sera è in qualche modo specchio di questo teorema. Quando il Bayern passa in vantaggio con la punizione di Xabi Alonso (con la deviazione del semi disastroso Gimenez), dopo mezz’ora di puro furore che costringe l’Atletico a sbagliare tutto e di più, in pochi credono che il fortino Colchoneros possa durare ancora a lungo. Pochi istanti dopo, la sensazione è che la favola stia per terminare: Gimenez commette un ingenuo fallo che si traduce in rigore per i padroni di casa. Ma gli Dèi del pallone, si sa, sono dispettosi: Mueller calcia a mezza altezza e l’eroe di serata diventa il portiere ospite Oblak.
Quando poi nella ripresa arriva il pari di Griezmann, su imbeccata di Torres al termine di un contropiede da manuale, si capisce che il cholismo avrà pure dei limiti ma, il cielo ci è testimone, dà parecchi risultati. Il Bayern accusa il colpo ma pian piano torna a recitare il suo spartito, possesso e affondi dagli esterni. Su uno di questi arriva il nuovo vantaggio firmato Lewandowski che riaccende match e speranze qualificazione. Tutto potrebbe spegnersi ancora quando Cakir concede il penalty anche all’Atletico Madrid per un fallo netto su Torres: netto sì, ma fuori area di mezzo metro. Come si dice a Milano: “San Giuann fa minga ingann“. Torres va sul dischetto ma calcia male e Neuer tiene in piedi i suoi. L’assalto finale dei bavaresi non produce più nulla, se non la conferma che la mentalità arcigna dell’Atletico è solida quanto l’impossibilità di superare il muro eretto da Juanfran e soci. Simeone ha avuto ragione una volta di più. Bentornato a Milano.
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