Milan nel segno di Paletta, la rimonta è servita: da 1-3 a 4-3, Sassuolo ko
Di Emanuele SaccardoPartiamo dall’epilogo di un pomeriggio milanese di inizio ottobre. Negli studi di una nota emittente locale, lo storico tifoso del Milan Tiziano Crudeli grida: “Datemi il secchiello! Datemi il secchiello! Datemi il secchiello!”. Chi non è milanista o non è avvezzo a cose di calcio, non capisce il riferimento e pensa che Crudeli sia impazzito. Ma per un rossonero qualsiasi è tutto chiaro e scappa per forza un sorriso. Oggi si può perdonare anche una battuta scontata, si fa pace con critiche, dubbi e sguardi torvi. L’epilogo del pomeriggio milanese di San Siro porta la firma di Gabriel Paletta, difensore centrale italo-argentino del Milan.
Paletta, quasi all’unanimità giudicato non adatto a giocare con la maglia rossonera. Paletta, trent’anni e poca esperienza internazionale, eccetto una fugace apparizione al Liverpool, qualcosa di più nel campionato argentino e 3 gettoni con la Nazionale italiana. Paletta non è da Milan, giusto mandarlo in prestito all’Atalanta. E se vai in prestito a trent’anni, vuol dire che non sei mica tanto forte.
Ieri pomeriggio, in quel di San Siro, di fronte alla bestia nera Sassuolo, Gabriel Paletta si è preso la scena, il Milan e i tre punti. Alla faccia della poca personalità, dell’inadeguatezza. Certo, lui non è Nesta o Maldini, ma anche il Milan non è più quello di Nesta e Maldini. Dire oggi che “questo e quel giocatore non sono da Milan” risulta anacronistico. Il Diavolo attuale è un’altra cosa rispetto a qualche stagione fa, anche il parco giocatori lo dimostra. Al netto di calciatori di plausibile prospettiva (vedi Donnarumma, Calabria e Locatelli, quest’ultimo ieri al primo sigillo in A della carriera, e che sigillo), il resto del materiale a disposizione di Montella è quel che è: al massimo da Europa League.
Bene. Il Milan da quinto o sesto posto sta continuando a fare quel che deve: con il successo interno di ieri sul Sassuolo, Montella si è messo in tasca 13 punti, 10 dei quali nelle ultime 4 uscite. I rossoneri sono sì sesti, ma in coabitazione con le due romane e la sorpresa Chievo. Per ora, dunque, sul piano dei risultati e della mentalità tutto bene. O quasi.
Già, perché se 3 successi nelle ultime 4 partite non sono cosa da poco, e se passare dal 1-3 al 4-3 in una manciata di minuti è segno di carattere e coesione del gruppo, le fisiologiche zone d’ombra restano. Troppi 10 gol subiti in 7 partite, troppe le amnesie difensive, poca la qualità in mezzo (eccettuati Bonaventura e Suso che, però, non sempre riescono a incidere). E poi quell’idea di far partire l’azione dai due terzini che, spesso, lascia praterie nella zona centrale della propria metà campo: il pareggio del Sassuolo, al netto dell’errore in appoggio da parte di Abate, è frutto di questa scelta tattica.
Ma, dicevamo all’inizio, lasciamo da parte dubbi e critiche, sorvoliamo sul generoso rigore dato al Diavolo e su quello più netto negato agli emiliani. Sorridiamo: il Milan, forse, sta tornando. Non in senso assoluto, non a poter competere per i primi posti; però, qualche volta, tornare significa semplicemente esserci, provare a dare fastidio a tutte le altre, fare in modo che chiunque pensi che di te si deve preoccupare. San Siro potrebbe finire di essere terra di conquista. Il rimontone di ieri pomeriggio ne ha ricordato uno simile, seppure più clamoroso, del 2011: Lecce-Milan, primo tempo finito 3-0 per i salentini. Al novantesimo il punteggio fu di 3-4, tripletta di Boateng e sigillo definitivo di Yepes, guarda caso altro difensore centrale sudamericano che sulla schiena aveva spesso l’etichetta di brocco.
Quel Milan era un’altra cosa, chiaro. Questo Milan è un cantiere a cielo aperto, un club in rifondazione con una squadra alla ricerca della ricetta giusta. Montella, forse, seppure da dietro un plexiglass perché espulso, ha saputo trovare un paio di ingredienti essenziali: fuori Luiz Adriano e Montolivo per Niang e Locatelli. La partita è cambiata. Il nome agli ingredienti, o alla ricetta, se volete dateli voi.
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