Si scrive Leicester, si legge Ranieri, si pronuncia campione
Di Emanuele SaccardoChiamatelo “Lester”, se siete puristi o presunti tali della lingua inglese. Oppure pronunciatelo così come si scrive, “Leicester”. Chiamatelo, se vi suona meglio, “Leister”, come fanno quasi tutti; oppure Foxes, il soprannome che deriva dal logo della Società. Non importa, fate come vi pare. Perché la sola cosa che conta adesso è che la squadra di Ranieri è ufficialmente campione d’Inghilterra. Per la prima volta in 132 anni di storia, con 2 turni di anticipo e dopo aver rischiato la retrocessione sul finire della passata stagione.
Sarebbe riduttivo definirla impresa. Sarebbe ingeneroso, dopo il pari strappato con i denti domenica pomeriggio al Manchester United, per giunta in 10 uomini, pensare “si vabbé, poi li voglio vedere in Champions il prossimo anno”. Anzi, sarebbe stupido. Giova infatti riportare alla memoria i presupposti che ruotavano intorno al Leicester a inizio stagione: la squadra a Claudio Ranieri? Sarà il primo esonerato del campionato (parola di bookmakers). Il morale dopo lo scandalo a luci rosse toccato al figlio dell’allora allenatore Pearson? Sotto i tacchi, non sono retrocessi l’anno scorso, capiterà a ‘sto giro (parola di esperti pallonari d’oltre Manica). Drinkwater? In 2 mesi non è riuscito a farsi tesserare dallo United, figurati che giocatore è; Vardy? Ha fatto 25 gol in 3 anni, è solo un ex operaio con la tendenza all’autodistruzione; Mahrez? Scusa, Mahrez chi? (parola di talent scouts da ogni parte del globo).
Insomma. Non è che si vuole esser cattivi o sostituirsi ai protagonisti di un titolo clamoroso conquistato con il silenzio e il lavoro, che magari hanno voglia di togliersi qualche sassolino dalla scarpa (non Ranieri, in ogni caso, è troppo signore). E’ solo che a posteriori, quando tutti sono saliti sul carro del vincitore, è divertente spulciare tra i ricordi estivi e rendersi conto, una volta di più, che ogni genere di pronostico esiste soprattutto per essere sbugiardato. Quando poi accade in modo tanto eclatante, si gode anche di più.
Lasciamo proprio agli esperti, ai bookmakers, ai talent scouts, ai maniaci del “io lo avevo detto” e ai pronosticatori di professione il compito di analizzare le ragioni del successo griffato Leicester. Certamente costoro troveranno sublimi analogie con i miracoli Nottingham Forest, Blackburn Rovers, Verona, Wolfsburg e altri che non ci vengono in mente adesso. A noi basta fare un paio di constatazioni in rigoroso ordine cronologico: a Natale, a quota salvezza raggiunta, Ranieri e i suoi ragazzi si guardarono in faccia dicendosi: “Proviamoci, tanto non ci costa nulla.” La meraviglia del cuor leggero e della semplicità. Una semplicità che ti fa mettere in fila lo scalpo di Chelsea, Tottenham e Liverpool, che ti lascia indifferente alle scoppole patite dall’Arsenal sia all’andata sia al ritorno e dal City. Clubs che, per inciso, stanno un pezzo alle spalle del Leicester.
La seconda constatazione risale a domenica scorsa, minuto 17 della gara contro il Manchester United. Wes Morgan sale in cielo e manda a referto il gol del 1-1, risultato che con il cuore le Foxes terranno fino alla fine, anche se in inferiorità numerica. A conti fatti, è stata la rete più importante nei 132 di storia del Leicester. E se provassimo a tradurre in inglese “Morgan uno di noi”, verrebbe fuori “Morgan One of Us”. Curioso: leggendo l’acronimo risulterebbe “M.O.U.”, antica nemesi di Ranieri. Mourinho ora è a spasso, il “vecchio” Claudio è invece campione d’Inghilterra. Proprio grazie al Chelsea, che mai ha dimenticato Ranieri e che più di tutto odia il Tottenham, fermato in rimonta sul 2-2 valso, ieri, il titolo più bello del calcio moderno.
Go, Foxes. Go, sor Claudio.
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