Europa League: Juventus e Valencia, delusione cocente
Di Emanuele SaccardoJuventus – Benfica 0-0 (and. 1-2, tot. 1-2, qualificata Benfica)
Valencia – Siviglia 3-1 (and. 0-2, tot. 3-3, qualificata Siviglia per maggior numero di reti in trasferta)
14′ Feghouli (V), 26′ Jonas (V), 70′ Mathieu (V), 94′ Mbia (S)
Ieri sera, al fischio finale delle semifinali di Europa League, i 909 chilometri che in linea d’aria separano Torino a Valencia sono di colpo diventati inesistenti. Antonio Conte e Juan Antonio Pizzi, tecnici rispettivamente della Juventus e dei catalani, hanno visto crollare le speranze di rimonta, hanno condiviso lo stesso amaro in bocca. Eppure con qualche sostanziale differenza.
Già, perché il Valencia ha accarezzato il sogno di una seconda e pazzesca remuntada consecutiva: nei quarti di finale perse all’andata in casa del Basilea con un secco 3-0, per poi annientare gli svizzeri al Mestalla ai tempi supplementari, attraverso un 5-0 passato alla Storia. Storia che stava per ripetersi e ancora tra le mura amiche, perché alla mezz’ora del primo tempo le reti di Feghouli e Jonas avevano azzerato il doppio vantaggio del Siviglia maturato al Ramòn Sànchez Pizjuàn. Nella ripresa era giunto anche il sigillo di Mathieu a far esplodere la festa del popolo valenciano. Ma in pieno recupero, sugli sviluppi di una rimessa laterale, la testa di Mbia ribaltava di colpo le sorti della qualificazione, facendo passare il testimone della gioia dalle mani catalane a quelle andaluse. Storie di calcio, di batticuori e miracoli sportivi.
Allo Juventus Stadium, invece, il film della semifinale ha raccontato una sceneggiatura spesso già vista nei dintorni del mondo bianconero: in campionato la Vecchia Signora corre, in Europa zoppica. La posta in palio poi, quella finale che alla Juve manca dal 2003 e che quest’anno si gioca proprio nella tana delle zebre, probabilmente ha generato un timore inconscio, una paura che Conte, alla vigilia, aveva provato a stigmatizzare ribadendo che doveva esserci spazio solo per la voglia di passare il turno.
Non che la Juventus non ci abbia provato, anzi, forse nel computo delle due gare avrebbe meritato qualcosa in più; ma l’organizzazione tattica del Benfica, magistralmente diretto da Jorge Jesus, ha di fatto arginato la verve degli esterni Asamoah e Lichtsteiner, lasciando sì spazio al lavoro di Pirlo e Pogba in mezzo al campo (quest’ultimo migliore tra i suoi) ma, al contempo, ha inaridito i rifornimenti per Llorente e Tevez (sotto tono lo spagnolo, arcigno e imprendibile l’argentino).
Il risultato è stato un deserto di occasioni dalle parti di Buffon e un’estrema confusione in area lusitana, nonostante la superiorità numerica della Juve per l’espulsione di Perez. L’epilogo si è consumato a metà tra la tragicommedia e l’epica: al di là di un rigore plausibile non concesso alla Juventus per un mani su colpo di testa di Llorente, l’arbitro è stato costretto più volte, nei minuti finali, ad interrompere l’incontro per ripetute perdite di tempo del Benfica. Va precisato che una di queste non è stata un’interruzione volontaria per spezzare il ritmo bianconero, ma un reale e grave infortunio di un difensore portoghese, ferito involontariamente al volto da una rovesciata di Pogba. Sotto il diluvio sono scaturiti un maxi recupero di otto minuti (solo sei realmente giocati) e una rissa che ha visto le espulsioni di Vucinic da un lato e Markovic dall’altro, entrambi cacciati dalle panchine.
L’atto conclusivo vedrà quindi di fronte Siviglia e Benfica, a conferma che il calcio iberico recita, nel presente, un ruolo di assoluto protagonista: tre squadre su quattro, tra Champions ed Europa League, sono spagnole e il Benfica appartiene alla penisola. I portoghesi, in particolare, si giocheranno la seconda finale consecutiva dopo quella persa lo scorso anno contro il Chelsea; Jesus, archiviato il campionato con il 33° titolo del club e con due finali nazionali da disputare (entrambe contro il Rio Ave per Taça da Liga e Taça de Portugal), vuole rompere la maledizione lanciata cinquant’anni fa da Béla Guttmann. Il tecnico ungherese che contribuì alla conquista di due Coppe dei Campioni, se ne andò lanciando un anatema che ancora resiste e che prevede un purgatorio benfichista di un altro mezzo secolo: senza di lui, i rossi di Lisbona non hanno mai più vinto un trofeo internazionale.
Cercherà di approfittarne il Siviglia, che andrà a caccia della terza Coppa Uefa in nove anni, dopo i successi del 2006 sul Middlesbrough e del 2007 contro l’Espanyol. Come al solito il calcio italiano starà a guardare.
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